Omelia (29-03-2024) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La pazzia che porta lontano Diceva Tomas Eliot che "Solo chi rischia di andare troppo lontano capisce quanto lontano si può andare." Conoscere se stessi e gli altri fino in fondo, senza pregiudizi e con rinnovata volontà di apprendimento del mondo e della realtà è un continuo mettersi in gioco, esporsi e rischiare anche pagando dazi sproporzionati. Esporsi significa infatti non conoscere limiti e anche qualora questi siano chiari, avere il coraggio di valicarli per andare sempre oltre ai fini di conoscere e di conquistare. Quando poi si tratta di amare, solo chi si prefigge di farlo senza condizioni, esulando dai limiti e dalle condizioni, noncuranti di pericoli e di imprevisti e senza bizantineggiare sugli altri, solo allora si è in grado di capire quanto realmente si sia capaci di amare. Se l'amore conosce solo spazi che mi sono prefissato e oltre i quali non intendo andare, siamo nell'ottica dell'egoismo. Se per amare faccio calcoli di pro e contro, siamo nel campo dell'interesse e del profitto. Ma se l'amore affronta anche l'inverosimile, l'assurdo e l'inconcepibile, mettendosi in gioco e rischiando ogni cosa pur di diffondersi da se stesso senza limitazioni; se in tutto questo dispone anche di dover perdere e rinunciare allora è amore autentico e sincero. Soprattutto se la perdita coincide con l'immolazione e con il sacrificio. Sapere amare intensamente è essere in grado di andare molto lontano, senza preoccuparsi di dove si arriva. Quello a cui stiamo assistendo adesso nella croce di Gesù è l'amore smisurato che si confonde con la pazzia. E' quello che comunemente noi definiamo assurdità, paradosso, insensatezza ma che nei parametri di scelta divina, cioè dell'onnipotenza, diventa possibilità, anzi consuetudine. Solo Dio infatti può amare fino alla pazzia e per quanto eroica, lodevole ed encomiabile possa essere stata la vita di qualsiasi uomo, non sarà mai in grado di eguagliare lo smisurato "andare oltre" e "mettersi in gioco" di Dio sulla croce per amore dell'umanità intera. Ciò per la ragione evidente che codesto amore non si consuma solamente nel momento in cui i chiodi trafiggono le membra del suo Figlio Gesù Cristo o quando questi esala l'ultimo respiro dopo atrocissime sofferenze appeso, ma perché ha avuto i suoi precedenti e avrà il suo riverbero in futuro. Nel suo Figlio Gesù infatti Dio si era ancor prima incarnato spogliando se stesso, anticipando così la croce nell'annientamento e nell'umiliazione estrema; aveva vissuto povero fra i poveri, perseguitato da scribi e farisei che lo costringevano a vivere da latitante pur essendo innocente; aveva affrontato illazioni e pregiudizi e anche adesso che pende dal legno viene definito "maledetto". Secondo la legge giudaica era "maledizione" infatti pendere da un palo o da uno strumento di supplizio. La croce di Gesù avrà il suo seguito, perché avrà il suo riverbero anche nelle sofferenze, nelle ansie e nei problemi di chi si sarà a lui affidato senza riserve e con deliberata fiducia: noi stessi siamo invitati a crocifiggerci con Cristo nei patemi e negli espedienti di lotta e di difficoltà fisica e spirituale. Certamente la croce è destinata sempre a tramutarsi nella gloria corrispondente e nella misura in cui ci si crocifigge si sarà in grado di risorgere, tuttavia anche la gloria porterà sempre con sé i contrassegni della passione. Così pure crocifiggeremo sempre il nostro Signore ogni volta che mancheremo a noi stessi e verso gli altri con il peccato. Tutto questo rende la croce di Cristo una pazzia: la croce come elemento portante continuo, cioè passato, presente e futuro del Dio incarnato fatto uomo, che potrebbe interferire in modo ben differente sulla vita dell'uomo per esempio imponendosi e sottomettendo tutti e che invece preferisce essere da tutti sottomesso. Paolo poi, con un sottile ragionamento afferma: "mentre i Giudei chiedono miracoli e i pagani cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio..." (1 Cor 1, 23 - 24). I Giudei si aspettavano un Messia dirompente e imperioso, capace di affermare se stesso con la forza o con manifestazioni sovrannaturali; per questo non potevano mai concepire che un qualsiasi uomo si definisse Dio e Salvatore o Re. Il Messia doveva peraltro liberare il popolo d'Israele dall'oppressione dell'Impero romano. I sapienti pagani, raffinati speculatori o scientisti non riconoscevano divinità alcuna se non quando fosse comprovata dalla speculazione intellettuale. Anche le divinità politeistiche erano tutte a misura d'uomo. La mentalità sofistica era quella che imperversava maggiormente e rivendicava la verità solo nella materia e nella sensorialità. Era vero per i sofisti quello che si vedeva e si provava al tatto. Che un Dio onnipotente e infinito potesse diventare uomo e addirittura morire in croce era semplicemente illogico e ridicolo, addirittura folle. Il Dio crocifisso non asseconda ne' l'una ne l'altra tendenza. Anzi, è proprio il Dio che manifesta la sua vera potenza in quello che comunemente gli uomini di tutti i tempi definiscono scandaloso, aberrante e anche pazzo: morire in croce per gli uomini e riscattarli con il suo sangue dopo aver vissuto da uomo a sua volta. Sempre Paolo riferirà agli astanti dell'aeropago di Atene (At 17) sulla Resurrezione dai morti e sull'unico Dio che essi hanno sempre venerato senza conoscerlo: il Signore Gesù della croce e della gloria. Gli risponderanno: "Su questo ti sentiremo un'altra volta", ma ancora una volta egli affermerà il primato di una Trascendenza non distaccata dalla nostra realtà, ma di un Dio Amore che, sebbene trascendente e invitto e glorioso, concede tutto se stesso agli uomini fino a darsi nel sacrificio estremo. Il Dio della pazzia e dello scandalo, appunto,, oggi la croce di Gesù ci rivela e nel quale possiamo contare come il vero Dio che proprio in questo da' senso alla nostra vita per intero. La croce è infatti la spiegazione del dolore, della sofferenza, delle apprensioni, delle guerre e di ogni altro malessere a cui qualsiasi essere umano ha tentato di dare risposta. Mentre altre soluzioni pagane o giudaiche non soddisfano intorno a questo argomento o lasciano sempre nel vago, essa è per noi invece elemento di grandezza e di vera divinità perché Dio in essa solidarizza con l'uomo dando appunto la risposta a tutti gli interrogativi che lo hanno sempre ossessionato. Diceva Bonheffer: "Dio non ci salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza. Non ci protegge dal dolore, ma nel dolore, non dalla croce, ma nella croce." La croce invita a vedere il negativo come un'opportunità e come una condizione necessaria per la gloria e aiuta a comprendere la parabola della vita nel suo alternarsi fra il bene e il male. Solo un Dio pazzo e assurdo poteva darcene la vera portata. |