Omelia (30-03-2024) |
diac. Vito Calella |
Le due scelte per risorgere con Cristo Oggi, giorno di Pasqua, vogliamo fare due scelte per «risorgere con Cristo». Prima scelta: avere il kerygma pasquale come asse centrale della nostra vita Per fare questa esperienza di com-partecipazione all'evento più importante della vita di Gesù, insieme alla sua morte in croce, siamo invitati a «cercare le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio Padre. [...], rivolgere il pensiero alle cose di lassù e non a quelle della terra» (cfr Col 3,1-2). Ciò significa rinnovare la nostra opzione di avere il kerygma pasquale come asse centrale di tutte le nostre azioni, sentimenti e pensieri. Oggi, in questo giorno di Pasqua, il kerygma pasquale ci è stato offerto attraverso la predicazione dell'apostolo Pietro: le autorità religiose dei Giudei e della città di Gerusalemme «hanno ucciso Gesù appendendolo ad una croce. Ma Dio Padre lo ha risuscitato il terzo giorno [...] e lo ha costituito giudice dei vivi e dei morti» (At 10,40.43a). Non basta essere cristiani con un certificato del nostro Battesimo, Cresima e prima Eucaristia! «Cercare le cose della terra» significa aver scelto come asse centrale di ogni nostra azione, sentimento e pensiero il denaro, o i nostri progetti di autorealizzazione; il nostro lavoro e i nostri beni materiali, ovvero la forza delle nostre conoscenze tecnico-scientifiche; la nostra visione ideologica della società e della Chiesa, secondo i gruppi di follower dei social media che concordano con la nostra visione della realtà. Scegliere di assumere il kerygma pasquale come asse centrale della nostra vita ci porta a fare una seconda scelta, affinché possiamo sperimentare il «risorgere con Cristo». La seconda scelta è la seguente: «morire» e sentire che «la nostra vita è nascosta con Cristo, in Dio Padre» (Col 3,3). La nostra partecipazione all'evento della risurrezione di Gesù richiede necessariamente la nostra com-partecipazione alla sua morte in croce. Prima della morte fisica siamo chiamati a sperimentare altri tipi di "morte". Morire con Cristo significa vivere tre esperienze di morte, che possiamo contemplare identificandoci con i tre personaggi del vangelo di questa domenica: Maria Maddalena, Pietro e il discepolo amato. Andare oltre il nostro lutto, le nostre perdite (esperienza di Maria Maddalena) Maria Maddalena ci ricorda che, prima della morte fisica, sperimentiamo il dolore del lutto per i nostri cari, il dolore di tutti gli altri tipi pedita. Maria Maddalena si recò al sepolcro perché piangeva la morte di Gesù. Era angosciata dalla perdita del suo amico, del suo signore, che le aveva cambiato la vita. Quando si accorse che la pietra, posta come sigillo dell'ingresso al sepolcro, era stata rimossa, si disperò, pensando che «hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto» (Gv 20,2). E corse ad avvertire Simon Pietro e il discepolo amato. Qualsiasi esperienza di lutto ci aiuta a renderci conto della povertà radicale della nostra condizione umana: siamo fragili, possiamo perdere in ogni momento: amici e parenti cari, la nostra salute fisica, psicologica e mentale; possiamo ritrovarci senza lavoro; possiamo morire improvvisamente a causa di un incidente. Il dolore provocato dal lutto e dal contatto con la nostra fragilità e vulnerabilità risveglia in noi il desiderio di aggrappacri all'essenziale, a chi ci può veramente dare sicurezza e speranza. Per noi cristiani Gesù Cristo, morto e risuscitato è la unica nostra ancora di salvezza. Vogliamo rifugiarci nel Figlio amato di Dio Padre, il quale «ha assunto in tutto la nostra condizione umana, obbedendo al Padre fino alla morte e alla morte di croce» (cfr Fil 2,6-8). Andare oltre il dolore o le perdite significa riconoscere e accettare che siamo poveri e scegliere l'unico vero sostegno nella nostra vita, che è Gesù Cristo morto e risuscitato. Allora, avremo la possibilità di sperimentare che la nostra vita «è nascosta con Cristo in Dio Padre», perché lo Spirito Santo, presente in noi, ci conferma nella dignità mai perduta di essere figli amati di Dio Padre, per Cristo, con Cristo e in Cristo. Andare oltre i nostri peccati (esperienza di Pietro all'alba di Pasqua) Simon Pietro corse con il discepolo amato verso il sepolcro. Non arrivò per primo, perché nel suo corpo sentiva tutto il peso del suo peccato: aveva rinnegato Gesù per tre volte, non aveva avuto il coraggio di riconoscersi discepolo del Nazareno, era fuggito e non aveva seguito Gesù nei suoi ultimi passi fino alla morte.croce. Pietro entrò per primo nel sepolcro vuoto e rimase in silenzio. Il peso del suo peccato non gli permetteva di rinnovare la fede in Gesù morto e risuscitato. Qualsiasi tipo di peccato può essere paragonato alla morte fisica. Peccare è causare separazione, divisione. È una morte interiore nell'isolamento di relazioni interrotte. Nel vangelo di Giovanni dobbiamo attendere l'incontro del Cristo risuscitato con Pietro, dopo la nuova pesca miracolosa nel lago di Tiberiade, quando gli chiese per tre volte: «Simone Pietro, figlio di Giovanni, mi ami tu più di costoro?» (cfr. Gv 21,15-17). Nonostante il suo peccato, fu restituito alla sua missione: «Pasci le mie pecore» (Gv 21,16b). Andare oltre i nostri peccati significa scoprire che Dio continua ad avere fiducia in ciascuno di noi e non rinuncia a offrirci sempre una nuova possibilità per realizzare la vocazione e la missione per la quale siamo stati chiamati. E oggi abbiamo sentito lo stesso Pietro predicare nella città di Gerusalemme, davanti alle autorità ebraiche, dicendo in nome di Dio: «Chiunque crede in Gesù riceve nel suo nome il perdono dei peccati» (At 10,43). Allora, avremo la possibilità di sperimentare che la nostra vita «è nascosta con Cristo in Dio Padre», perché lo Spirito Santo, presente in noi, ci fa assaporare l'immensità della misericordia e della fedeltà di Dio Padre, per Cristo, con Cristo e in Cristo. Andare oltre il privilegio di essere amati (l'esperienza del discepolo amato) All'evangelista Giovanni piace la figura del discepolo amato e senza nome, perché potrebbe rappresentare ognuno di noi che accetta la sfida di essere veramente alla sequela di Gesù Cristo. Il discepolo amato potrebbe essere quel discepolo senza nome che appare all'inizio del vangelo di Giovanni, compagno di Andrea. I due, seguaci di Giovanni Battista, sentendo che Gesù, da lui appena battezzato, «è l'agnello di Dio» (Gv 1,36), subito lo seguirono (Gv 1,37), chiedendo: «Maestro, dove abiti?» (Gv 1,38). Il discepolo amato appare ancora nel contesto della cena pasquale e della lavanda dei piedi, con il capo appoggiato sul petto di Gesù: «Uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù» (Gv 13,23). Nel venerdì santo abbiamo trovato il discepolo amato ai piedi della croce, insieme a Maria, la madre di Gesù e ad altre donne. Egli «accolse Maria nella sua casa» (Gv 19,27). E in questa domenica di Pasqua abbiamo ascoltato che il discepolo amato correva più veloce di Pietro, era pieno di forze, non aveva dubbi: subito, entrato nel sepolcro vuoto, testimoniò la sua fede «Vide e credette» (Gv 20, 8b). Il discepolo amato ha avuto il privilegio di sentirsi amato quando, ai piedi della croce, ha ricevuto l'invito ad accogliere nella sua casa la Madre di Gesù. La comunione tra lui e Maria, chiamata "donna" dal figlio crocifisso (Gv 19,26), rappresenta il dono della comunità cristiana, che comincia ad esistere a partire dall'evento della morte e risurrezione del Figlio di Dio e con la dono dello Spirito Santo, che per l'evangelista Giovanni è già offerto a tutti noi nell'ora della sua morte in croce: «Consegnò lo Spirito» (Gv 19,30). Andare oltre il privilegio di essere amati significa sentire la responsabilità di essere membra viva della Chiesa, avendo Maria come modello e Madre della Chiesa. Allora, avremo la possibilità di sperimentare che la nostra vita «è nascosta con Cristo in Dio Padre», quando, illuminati dallo Spirito Santo, ci doniamo gratuitamente nella nostra comunità cristiana, per Cristo, con Cristo e in Cristo. |