Omelia (13-02-2004) |
Casa di Preghiera San Biagio FMA |
Dalla Parola del giorno Portando in disparte lontano dalla folla un sordomuto, Gesù gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: "Effatà", cioè "Apriti". Come vivere questa parola? Procedendo nel suo itinerario missionario, dopo aver guarito la figlioletta della donna cananea tormentata da uno spirito immondo, Gesù giunge nella Decapoli, l'odierna Giordania, ancora tra i pagani. Anche qui risana un sordomuto. Lo prende in disparte, gli pone le dita nelle orecchie e un po' della sua saliva sulla bocca e sospirando nel desiderio profondo di voler comunicare il dono della vita ad una creatura fagocitata nel suo male oscuro, pronuncia una parola: "Effatà", "apriti". Scrive in proposito san Gregorio Magno: "mettere le dita negli orecchi è aprire per mezzo dei doni dello Spirito Santo la mente del sordo all'obbedienza della fede". In tal senso, c'è una sordità latente in ognuno di noi, che brama l'intervento terapeutico di Gesù. E' quella disobbedienza della fede che fa deragliare su percorsi tortuosi di peccato o per lo meno di inautenticità. Un atteggiamento questo che attecchisce lì dove la superficialità è di casa, compagna dell'orgoglio e nemica del silenzio. Ecco perché alcuni autori spirituali sostengono che Gesù chiami in disparte il sordomuto per strapparlo alla dispersione alienante della folla curiosa. In quest'uomo c'è infatti una dimensione dell'essere che deve poter riemergere in tutta verità a partire da un contatto intimo e profondo con Lui, tessuto in un silenzio che tocchi il cuore e riattivi la facoltà di udire e di parlare. Udire la Parola che salva e glorificare Dio nell'annunzio delle sue meraviglie. Oggi nella mia pausa contemplativa consegnerò al Signore il dramma esistenziale di quanti "hanno bocca e non parlano, hanno orecchi e non odono" (Sal 115, 5-6): uomini e donne del nostro tempo chiusi nella logica mortifera dell'ego, incapaci di ascoltare le profondità nascoste del cuore e di sciogliere la lingua nella lode. Certo, non mancherò di riconoscere anche la mia sordità muta che talvolta mi allontana dalla familiarità con Dio. Questa la mia preghiera: 'Sospira' ancora, Signore, volgendoti misericordioso verso di me. Rendi umile e docile il mio cuore perché possa ascoltare la Tua Parola di salvezza ed accoglierla con gioia nell'incessante desiderio di esserti fedele. La voce di un filosofo del I secolo Io sono libero e amico di Dio per prestargli ubbidienza in piena libertà. (Epitteto) |