Omelia (14-04-2024)
don Michele Cerutti
Stare in mezzo alle fragilità e paure

Qualche giorno fa sfogliando un carteggio tra un alto porporato e il suo clero mi sono trovato davanti una lettera che il Vescovo scriveva al suo Vicario.
Questa missiva mi aveva particolarmente colpito per un aspetto perché si invitava il collaboratore a non mettere in discussione l'autorità e occorreva a tal fine esortare i sottoposti a essere ricevuti nell'ufficio e non si andasse direttamente dal subalterno per redarguirlo o dargli dei compiti.
Questo valeva anche per i sacerdoti che si rivolgevano per qualche problema.
In tal modo era assicurata la credibilità dell'alto compito che si andava ricoprendo.
Teniamo conto del contesto di Chiesa siamo negli anni 50 e sul finire di questi. Siamo in un'età preconciliare.
Non vi nascondo che queste lettere mi avevano fatto sorridere, ma oggi mi chiedo se tali logiche persistono.
Alcune esperienze che ho anche vissuto sulla mia pelle mi dicono quanto sia dura a morire una tale mentalità accentrata e poco incline all'umiltà.
Atteggiamenti che alla lunga si dimostrano fallimentari.
Certamente Gesù parla a noi da 2000 anni e da 2000 anni la Chiesa proclama questi Vangeli che a maggior ragione sono di un'attualità sconvolgente.
Il Signore stesso rovescia la logica dell'autorità per convincere che questa è a servizio.
Stando alle logiche del mondo sarebbe dovuto arrivare tra i suoi e invece di mettersi in mezzo, termine che richiama proprio la logica del servire, si sarebbe posto in una sommità per esprimere veri e propri rimproveri e probabilmente per licenziare quella compagnia di scalcagnati.
No Gesù si mette proprio in mezzo e a quella massa di traditori consegna ancora il compito di annunciare la Risurrezione.
Porta con sé ancora i segni della debolezza umana per dire a tutti ancora una volta che Egli è venuto a servire e a non essere servito perché conosce bene la nostra fragilità umana segnata dal dolore.
Egli vuole vivere la fraternità perché sa che questa è motore della missione.
Chiede loro del cibo proprio perché conosce che il momento della tavola è tempo di gioia e condivisione da cui sono scaturiti nel suo ministero grandi incontri.
Inizia il tempo dell'annuncio che ha una caratteristica forte quella della sincerità.
Pietro non ha peli sulla lingua e mette davanti i suoi contemporanei alle proprie responsabilità.
Noi, appena dopo Pasqua, abbiamo sempre letto che i discepoli erano rinchiusi per paura dei giudei.
Con il dono dello Spirito Santo, dopo Pentecoste e i brani degli Atti sono successivi a questo evento, inizia il tempo del coraggio perché il Paraclito sostiene noi tutti suoi discepoli nella dimensione dell'annuncio.
Non è più tempo della paura, ma tempo della determinazione perché sostenuti dallo Spirito.
A noi il compito di riconoscere Gesù che si mette in mezzo alle fragilità del mondo e alle nostre paure per spronarci a vivere liberandoci dai lacci del peccato.
Quel peccato che Giovanni nella sua lettera dice essere stato vinto da Gesù stesso.
Si apre davanti a noi il tempo che ci condurrà a Pentecoste chiediamo la forza dello Spirito per essere annunciatori della Risurrezione senza timore e paure.