Omelia (21-04-2024) |
padre Paul Devreux |
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Gesù è il buon pastore, detto anche bello. Dio ce lo ha mandato perché sa che ne abbiamo bisogno perché ci guidi in questa vita verso una vita eterna, dove si vive bene. Mi sono chiesto: come mai tanti preferiscono altre religioni o altri pastori? Forse molti preferiscono un Dio fatto a nostra immagine e somiglianza, un Dio forte e giusto secondo i nostri criteri di giustizia, che punisce i cattivi e premia i buoni, e che possiamo manipolare pregandolo. Oppure Gesù è rifiutato perché l'abbiamo presentato male? Abbiamo una grossa responsabilità. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Siamo ancora nel tempo di pasqua, e il vangelo fa subito un riferimento alla passione di Gesù, che ha donato la sua vita per noi. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Chi è il mercenario? Chiunque, ma anche io, quando faccio qualche cosa per gli altri, non con spirito di servizio, ma solo per lo stipendio e senza amore. È ovvio che se vedo arrivare il lupo, o qualsiasi pericolo, per paura di rimetterci, scappo. È quello che distingue un genitore o un educatore che ama i suoi figli o allievi, da un mestierante. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. Tutto si basa sulla relazione, sul conoscere e l'essere conosciuto. Cosa posso fare perché questa relazione con il pastore cresca? Sicuramente prendere tempo ogni giorno per fermarmi e ascoltare il suo vangelo e pregare, ma soprattutto chiedergli di capire e vedere come lui mi dà la sua vita, perché finché penso che sono io a dovergliela dare, e a dovermi sacrificare, per essere amato da lui, Gesù, per me, è morto invano. È morto invano perché la mia cattiva immagine di Dio, il mio pregiudizio, m'impedisce di accettare che è lui che mi prega di lasciarlo entrare nella mia vita per servirmi. Lo rifiuto come Pietro, nella lavanda dei piedi. Questo perché preferisco un Dio che penso di poter accontentare con le mie pratiche religiose, e che punisca quelli che secondo me vanno puniti. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Tutti insieme siamo chiamati a diventare pastore per chi non ha conosciuto il Pastore Gesù, e un solo gregge: cioè una fratellanza, un mondo bello per tutti. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Gesù ci dona la sua vita, perché ci vuole bene. Lo fa standoci accanto, accompagnandoci nel nostro cammino ventiquattrore su ventiquattro, gratuitamente. Lo fa anche accettando ogni nostro rifiuto. Lo fa donandoci la sua presenza nell'eucarestia e nutrendoci. Tutto quello che può lo fa, ma con discrezione per rispettare la nostra libertà di non crederci; ma lui è sempre con noi. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Ma io ho bisogno di questo pastore? Accetto l'idea di essere una sua pecora? Di essere parte di un gregge? Ho capito che è bello condividere con Gesù questa missione di essere pastore, donando la mia vita per rendere possibile questo mondo nuovo? Gesù dice che non solo ha dato la sua vita, ma può anche riprendersela, chiaramente per darcela di nuovo, all'infinito, ogni volta che ne abbiamo bisogno; questo è il ciclo dell'amore eterno. Viva Dio. Buona domenica. |