Omelia (21-04-2024)
Paolo Curtaz
Vocati

Non è il pastore tenero di Luca, che prende la pecora smarrita sulle spalle, quello che incontriamo oggi nel vangelo di Giovanni.
È un pastore energico, un guerriero determinato, deciso, combattivo.
Perché a volte le pecore che siamo vanno cercate là dove si perdono.
Altre volte vanno difese dai tanti lupi che incontrano. Persone malvage che vogliono rapirle.
Nessuno ci difende. Chi potrebbe farlo, chi dovrebbe farlo, a volte, lo fa per interesse.
Anche le persone che ci sono più vicine, che immaginiamo essere disposte ad aiutarci, ad amarci, ad accoglierci per quello che siamo, senza giudicare, senza innescare dinamiche perverse, succede, si svelano per ciò che sono: mercenari. Ci amano per interesse.
Interesse anche buono e santo, ma sempre interesse, per avere un qualche tornaconto.
Ci amano sì, ma a patto di amarle.
Aiutano e donano sì, per poi rinfacciare e far pesare quello che hanno fatto.
Lupi e mercenari: con questi dobbiamo fare i conti continuamente.
E noi stessi siamo lupi e mercenari degli altri.
Ma, vi prego, non cedete al vittimismo.
Non pensate di essere delle povere pecorelle indifese. Non piangetevi addosso perché nessuno vi capisce. Non sprofondate nella sindrome dell'abbandono che sta duramente minando il nostro equilibrio in questi tempi oscuri.
Diversamente dal nostro approccio naif, il cristianesimo parte dalla constatazione che tutti siamo fango. E che nessuno si stupisce di esserlo. Ma, e questa è la buona notizia sconvolgente e luminosa, Cristo ci ha redento, ha spezzato questa catena, ha dato la possibilità di permettere alla nostra parte più vera, più luminosa, di emergere, di fiorire, di innalzarsi.
Si è messo in gioco.
Si è donato.

Dare la vita
Per cinque volte in poche righe Gesù spiega come riesce a difendere la nostra vita: dona la sua vita.
Dona.
Donare è il segreto per una vita bella come bello (non solo buono) è il pastore coraggioso che veglia sul gregge radunato per la notte. Dona la vita, la spende, la spande, la frantuma, la divide, la offre, la riversa su di noi, su di me.
Ma di un amore libero e maturo, adulto e fiorito.
Senza aspettarsi nulla in cambio. Senza giocare ai piccoli, velati ricatti che rischiano di intorbidire anche la più bella delle relazioni. Di intossicarla.
È libero, il Signore, perché vero, perché centrato su Dio, perché orientato verso l'essenziale.
Dio è la fonte dell'amore che riversa.
Non le sue passioni, le sue emozioni, i suoi sentimenti.
Che, sì, sono illuminati anch'essi dall'amore che deriva da Dio. E illuminanti.
Siamo amati di un amore divino e se ce ne lasciamo riempire diventiamo capaci di amare di un amore divino.
Scoprendoci amati, diventiamo amanti, amabili.

Dare e riprendere
E insiste su un aspetto affatto marginale.
La vita la dà e poi se la riprendere, la riprende quando vuole.
Un amore maturo sa donare senza lasciarsi travolgere, senza lasciarsi ingabbiare e manipolare.
Troppe volte, fra noi cattolici, persone generose che credono al Vangelo cercano di amare come Gesù.
E vengono sbranati.
Dalle altre pecore, non dai lupi. Portati via. Fatti a pezzi.
Se il gesto di chi ama può essere carico di buone intenzioni, non sempre chi accoglie questo amore agisce allo stesso modo.
Anzi.

Ne ho visti di cristiani amorevoli restare amareggiati e delusi, feriti e piagati dopo avere fatto esperienze di comunità. Ne ho visti pretini luminosi ed entusiasti essere sbranati da falsi devoti che vivono nella finzione.
Bene dice altrove il Maestro: Dio comanda di amare gli altri come noi stessi.
Di amare noi, quindi, per primi.
Ma non dell'amore narcisistico ed egotico tanto di moda oggi, no.
Dell'amore libero e concreto che ci deriva da Dio.
Quell'amore definitivamente espresso dall'alto della croce, un amore libero e liberante che attira tutti.
Ti posso amare bene senza lasciarmi impigliare nelle tue spire divoranti.
Ti posso amare bene sapendo che tu, come me, come tutti, porti nel cuore delle ombre.
Gesù ama bene. Perciò ci può difendere, anche dal lupo che portiamo nel cuore.

Vocazioni
Oggi la Chiesa prega per le vocazioni.
Ci sarebbe tanto da scrivere.
Molti dicono: non ci sono più vocazioni. Sbagliatissimo: non ci sono più cristiani!
Perché i tanti dibattiti su cosa sia una vocazione, una chiamata, rischiano sempre di perdere di vista l'essenziale: Dio non è moralista, non vuole una pia società organizzata.
Dio è passione, amore travolgente, bruciante, a volte insostenibile. E così è per chi lo segue.
Prete, suora, famiglia, laico.
Siamo tutti vocati.
A fare esperienza di Dio come siamo. Come siamo.

Al mercenario, dice Gesù, non importano le pecore. A Dio sì.
A Dio importa di me.
Essere vocati significa farne esperienza.
E raccontare agli altri che anche di loro Dio si occupa.
Tutto qui.