Omelia (21-04-2024)
don Alberto Brignoli
Il plusvalore dell'amore

Da sempre, la quarta domenica del Tempo di Pasqua è dedicata alla figura di Cristo Buon Pastore, in quanto la Liturgia ci presenta la lettura di un breve brano tratto dal capitolo 10 del Vangelo di Giovanni, nel quale Gesù si rivolge prima ai suoi discepoli e poi a un gruppo di Giudei suoi oppositori attraverso una parabola, un po' diversa dalle solite come "insolito" è il Vangelo di Giovanni. Gesù si presenta come il "Buon Pastore", richiamando una figura cara all'Antico Testamento, e in modo particolare alla tradizione profetica, nella quale il pastore si identifica non solo con i capi d'Israele (per la verità non sempre così solleciti verso le necessità del popolo), ma anche e soprattutto con la figura paterna e amorevole di Dio Padre (come narra, ad esempio, il capitolo 34 del libro di Ezechiele). Nel solco della tradizione profetica, allora, Gesù presenta l'ideale della figura del pastore, ovvero del responsabile di una comunità, il quale dev'essere - a imitazione della bontà di Dio - pronto a tutto per le sue pecore, addirittura a "dare la vita" per esse.
In questo senso, il pastore si distingue dal "mercenario": questo termine deve la propria origine all'ambiente militare, e si riferisce al soldato che combatte una guerra non per amore della patria, ma per amore del denaro, e quindi si offre all'esercito che meglio lo paga. Applicato al mondo agropastorale, si tratta di un qualsiasi operaio che ha come unico scopo quello di guadagnare il più possibile, magari con il minimo sforzo, per cui si guarda bene dal metterci passione in ciò che fa. Al punto che, in una situazione di pericolo o d'insicurezza, una volta assicuratosi il proprio stipendio, se la fila a gambe levate, lasciando al loro destino le pecore che gli sono state affidate, proprio perché non sono sue. Tant'è, un altro padrone lo troverà comunque, e anche da quello cercherà di lucrare il più possibile...
È proprio su questa contrapposizione tra "appassionato" e "mestierante" che Gesù fa perno per far comprendere ai propri uditori quale sia, nell'esercizio della responsabilità, l'elemento discriminante tra i due, ovvero l'Amore. Chi fa le cose per denaro, per uno scopo di lucro, per guadagnare, non necessariamente fa una cosa illecita: non fa altro che entrare nella logica del mercato. A una prestazione corrisponde un salario, al di là della passione che ci si mette nel farlo: la passione non ha prezzo, e quindi non può essere retribuita. La passione non ha prezzo perché l'Amore non ha prezzo; e con esso, non ha prezzo la bellezza dell'opera e del lavoro realizzati. Una cosa fatta per dovere o secondo logiche di mercato, ha un valore e come tale va pagata, anche per un criterio di giustizia sociale; ma la stessa cosa fatta con amore ha un plusvalore a cui nessun datore di lavoro riconoscerà un bonus, eppure esso rappresenta il valore aggiunto dell'opera realizzata. Quel valore aggiunto che, se quantificato o pagato, farebbe perdere bellezza e splendore a quanto compiuto.
La camera riordinata da una cameriera o da un'impresa di pulizie, per quanto fatta con dedizione e scrupolo e nel rispetto dei tempi stabiliti dal contratto, non avrà mai il profumo, la bellezza e l'armonia di una stanza da letto riordinata da una sposa innamorata. Il piatto di spaghetti della mamma ha un sapore infinitamente più intenso che qualsiasi piatto raffinato preparato dal più blasonato degli chef. Una funzione autoritaria esercitata con passione e autorevolezza è incommensurabilmente più grande di qualsiasi prestazione tecnicamente e professionalmente competente, sia pur espletata con il massimo del rigore. Un prete scalcinato che, pur pieno di difetti e limiti umani come ogni persona, ha passione per i ragazzi del proprio oratorio e dona a loro fino all'ultimo minuto della propria giornata senza risparmiarsi, vale infinitamente di più del miglior educatore professionale, del più moderno degli animatori di piazza e del più titolato cattedratico di scienze dell'educazione che possano mettere a disposizione la loro competenza per rendere un centro giovanile un luogo di educazione con la "E" maiuscola.
C'è poco da fare, per avere passione dell'uomo occorre saper amare: è dall'amore che nasce la passione. Senza amore di fondo, senza passione per l'altro, per la persona che mi è stata affidata e che ha bisogno delle mie cure, non sarò mai in grado di essere un valido responsabile o - per dirla con Gesù - un Buon Pastore.
Io credo che i consacrati di ogni paese della terra dovrebbero preoccuparsi di meno di stare a perdere il loro tempo a cercare di essere teologicamente corretti, liturgicamente preparati, pedagogicamente adeguati e mediaticamente efficaci, quando hanno la certezza - che ci viene dalla Parola di Dio - che ciò che è fatto per amore e con amore è fatto a immagine di Cristo Buon Pastore, per cui sarà sempre assolutamente credibile!
Quanto siamo lontani dall'aver compreso che a nulla vale la competenza delle scienze, degli studi, dell'esperienza e dell'autorità, se non siamo testimoni autorevoli e credibili dell'amore che da Dio abbiamo ricevuto e per suo comando siamo tenuti a donare!
La miglior azione pastorale rimane quella della testimonianza. E l'unica testimonianza credibile è quella di chi sa amare. Perché - come diceva il grande Von Balthasar oltre sessant'anni fa - "solo l'amore è credibile".