Omelia (21-04-2024)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Don Marco Simeone

Questa è la domenica del buon pastore e, almeno nella Diocesi di Roma, si fanno le ordinazioni sacerdotali, consegnando ai futuri sacerdoti proprio questa "icona" di Gesù Buon Pastore affinché sia la bussola del loro futuro ministero sacerdotale. Ma per poter essere una bussola è necessario che questa icona venga capita, gustata e ciò non è per i soli sacerdoti: questa pagina del vangelo è per tutti noi, per il nostro beneficio ed anche per imparare a essere chiesa.
Contesto liturgico: ogni domenica del tempo di Pasqua è una via per poter capire, trovare e gustare Gesù risorto nella nostra quotidianità (la sera di Pasqua con Tommaso nei dubbi e nelle ferite sanate, Emmaus con l'eucarestia); oggi è nel riconoscere la voce di Gesù nella nostra vita quotidiana: nei fatti che ci accadono e nell'ascolto della Parola di Dio.
Contesto biblico: Gesù ha appena guarito il cieco nato e si è dovuto scontrare con i farisei: "voi dite di vedere..." e questo loro atteggiamento mette in disparte ogni azione del Signore per loro. Allora è necessario fargli capire quanto è importante ascoltare, cioè entrare in relazione, non trincerarsi dentro alle proprie sicurezze o convinzioni: Abramo ci insegna che Dio tu lo segui e Lui guida, non è un progettista che ci ha consegnato un progetto e poi se ne è andato. Ma adesso veniamo a noi.
Ci sono 2 figure: il pastore e il mercenario. Come mercenario possiamo intendere semplicemente uno che è pagato, non è cattivo, fa semplicemente qualcosa per la quale sarà pagato, nulla di più.
Il pastore è buono (in greco c'è scritto "Kalos" che letteralmente sarebbe bello, ma anche buono, giusto, leale, etc..) e si distingue perché prima di tutto dà la vita per le pecore (colui che è pagato non ci penserebbe nemmeno), poi le conosce una per una, le chiama per nome, è conosciuto e riconosciuto dalle pecore. È capace di non fuggire davanti al lupo, il mercenario, invece, di fronte al pericolo già se ne è andato via; il pastore è capace di riunire tutte le pecore attraverso la sua persona.
Quando io leggo questo brano vi leggo sempre un comando ad essere il buon pastore e a fuggire la tentazione di essere il mercenario: ma questa lettura è essa stessa una tentazione.
Il vangelo non è semplicemente un libretto di istruzioni da compiere, un dover essere, come se fossi capace di fare queste cose "tanto basta solo impegnarsi un pochino di più...". Assolutamente no.
Quando leggiamo il vangelo così lo snaturiamo e cadiamo nell'errore dei farisei che credevano di essere graditi a Dio a forza di sforzi.
Gesù ci sta parlando di se stesso e ci sta insegnando a riconoscerLo.
Proviamo a riprendere le azioni di Gesù: la prima è che dà la vita per me. L'ha fatto? Beh, sulla croce c'è andato. Ma forse il nodo sta proprio qui: io sono cambiato quando ho scoperto che la Sua croce, quell'atto unico, perfetto, che ha cambiato il corso della storia, l'ha fatto anche per me, anche se fossi stato l'unico uomo sulla terra. Però non tutta la mia vita mi sembra in linea con questo annuncio: ci possiamo portare dentro delle ferite per i dolori nei quali ci siamo sentiti abbandonati, qualche lutto che ancora sta lì con tutto il suo dolore, o svolte che la vita ci ha fatto vivere che ancora non abbiamo digerito, e la lista potrebbe essere molto più lunga. Gesù oggi ci dice che Lui ha dato la Sua vita per ciascuno di noi, non ci ha mai detto che avrebbe fatto la nostra volontà ma che ci avrebbe salvato, che davanti ai miei rifiuti mi avrebbe amato anche fino a lasciarsi mettere in croce da me. Egli mi ha scelto e non si pente, neanche davanti alle mie infedeltà.
Questo è l'annuncio: se sono disposto ad ascoltare la sua voce Lui mi fa vedere come agisce e come mi protegge dal lupo (poi vedremo chi è il lupo), se mi chiudo e continuo a sbattere i piedi rimango incastrato, e quante persone stanno così!
Dare la vita significa accogliere, perdere tempo, rimetterci, e solo questo si può chiamare amore. Ci conosce per nome, sa come siamo fatti, sa come prenderci, sa cosa ci fa male e cosa no (a ben guardare sembra la descrizione del genitore perfetto...). È riconosciuto da noi: quanto è vera questa frase! Se da una parte mi piace fare i capricci per convincere il Signore a fare la mia volontà, devo altrettanto riconoscere tutte le volte che Egli ha agito, quando non era proprio possibile negare l'evidenza.
Soprattutto Gesù non scappa davanti al lupo, il lupo potrebbe essere sicuramente il diavolo.
Ma non è vero che è colpa del diavolo tutto il male che vado facendo. Penso che dobbiamo anche riconoscere che il peggior lupo di me stesso sono proprio io, per tutte le volte che mi ergo a pastore di me stesso. Penso che il diavolo sia felice di una collaborazione così intensa... Guardate che la nostra epoca, forse come le altre ma certamente tanto, ha deciso di ergersi a pastore di noi stessi inseguendo i nostri vaneggiamenti: il risultato è che ci lasciamo senza nutrimento vero, indifesi ed esposti al lupo. Il lupo ti fa contento e canzonato, ti asseconda in ogni desiderio, o almeno ti ci fa credere, e l'errore che facciamo è nel non riconoscere che ogni volta che ho obbedito ai miei desideri più immediati, più superficiali, io non ho fatto il mio bene: perché io no so cosa mi fa bene.
Il pastore lotta contro il lupo perché lotta per le pecore e vuole il loro bene: lo smaschera e lo mette in fuga. Solo chi ci ama veramente lotta per noi, a volte è costretto a lottare contro di noi per noi: chi ti ama ti sa dire di no!
Per questo il Padre ama Gesù: perché è il volto vero del Padre e ne svela l'amore, un amore capace di donarsi fino in fondo, di affrontare la morte non da disperati ma da chi sa che l'amore vince, che solo il Padre può donare e ridonare la vita eterna, che neanche la morte ferma l'opera di Dio e la Sua fedeltà.
Solo se gustiamo questo possiamo pensarci come invitati a vivere questo: se non si contempla non si agisce, se non si gusta non si può condividere, se non si ha non si può regalare.
Adesso vediamo delle aeree di intervento: se al posto della parola Pastore metto Genitore? Pensate quante idee e spunti vengono fuori!
"Ma io lavoro!" È la scusa più utilizzata, anche Colapesce e Di Martino l'hanno inglobata in una loro canzone. Dare la vita è ciò che costituisce l'essere genitore, ciò che costituisce l'essere umano.
Pensate al nostro pensarci come comunità, o comunque come società: chiamati a dare la vita, a scegliere e vivere il lavoro come atto d'amore e di servizio e non come espropriazione del proprio tempo.
Pensate per una coppia dove gli sposi si sentono chiamati a spendere la propria vita per l'altro.
Il buon pastore ci insegna che la vita è preziosa perché donandola scopriamo la nostra natura di Figli di Dio, scopriamo come ora, e da sempre, siamo amati dalla SS.ma Trinità: tale Padre tali figli.
Essere chiesa è essere il suo gregge: quelli che Lo ascoltano e Lo seguono.
Buon cammino