Omelia (28-04-2024)
don Michele Cerutti
Innestati in Gesù

Quando non viviamo intimamente uniti a Gesù e non siamo legati a Lui come i tralci innestati nella vite iniziano le paure e le preoccupazioni.
Lo vediamo nelle prime Comunità cristiane dove davanti a un Paolo che muove i suoi primi passi vi sono uomini che non vedono in Lui un discepolo di Gesù, ma sono legati alla figura di persecutore.
Tanti timori prendono il sopravvento e quindi la risposta è il tentativo di eliminare l'ostacolo uccidendo Paolo stesso e così togliere un impedimento alla propria tranquillità.
Non riescono a uscire dai loro preconcetti e vedono nemici dappertutto.
Le nostre comunità possono vivere anche loro il rischio di non vivere la fede, ma di vedere tutti coloro che si avvicinano come dei pericoli, legandosi a schemi.
Quello che ci viene chiesto questa domenica è quello di vivere una fede che non sia come una semplice etichetta, ma che sia vissuta per portare frutti.
Vedendo i discepoli, coloro che sono distanti da noi e dal nostro modo di concepire la realtà e il nostro modo di vivere possono veramente interrogarsi.
Nella nostra logica molto materialista non riusciamo a comprendere che questo portare frutti voglia dire essere capaci di essere una risposta vera a tutti i grandi interrogativi umani.
Più che essere una risposta siamo chiamati a essere uomini e donne capaci di creare in chi ci vede delle domande di fondo.
Perché oggi manca l'interrogarsi, manca il chiedersi le domande di senso.
Poi dal porsi delle domande si passa alla ricerca di risposte che provengono da Dio.
Oggi è la sfida vera dei cristiani.
Quando però l'atteggiamento è quello di chiusura come respiriamo nella prima lettura diventiamo scandalo e invece di attrarre allontaniamo.
Mi ricordo sempre in una delle mie prime esperienze come sacerdote di aver celebrato Messa in una Comunità e di aver dato la comunione a una persona divorziata.
Questo aveva creato malumori da parte di alcuni che si sentivano custodi, più del Papa, della fede.
La persona non era risposata e non viveva situazioni di ulteriori legami, ma questo non dovevo giustificarlo.
Le proteste si erano limitate all'ambito della sacrestia mettendomi in imbarazzo.
In un'altra realtà mi era capitato invece una situazione analoga dove una donna che leggeva la Parola di Dio veniva rimproverata perché viveva una separazione e veniva additata.
Quante volte veramente si può uccidere una persona mettendo in evidenza davanti a tutti la storia personale segnata da difficoltà e da ferite.
Senza accorgersi si possono fare danni all'annuncio e invece di essere una vite che porta frutto rinsecchiamo i tralci.
Domenica scorsa lo sguardo era rivolto al Buon Pastore. Questa domenica contempliamo l'icona della vigna in cui noi siamo innestati e chiamati a portare frutti.
Chiediamoci in coscienza. Mi innesto in questa vigna? Come? Con la preghiera e l'assiduità all'ascolto e alla meditazione della Parola?
Porto frutti? Quali? Accoglienza, perdono, prossimità a chi mi sta vicino, capacità di intercettare i bisogni dell'ambiente circostante?
Uscire quindi da una fede di etichetta e condurci ad una fede che si sa sporcare le mani.
Una fede che sa, rifacendosi a Papa Francesco e un poco al Vangelo di domenica scorsa, sentire il profumo delle pecore.
Una fede che non si erge a giudice, ma sia espressione di braccia aperte nei confronti dei fratelli.
La fede diventa espressione dell'amore di un Dio incarnato cibo vero per tutti coloro che vanno alla ricerca di un senso.