Omelia (25-04-2024) |
Missionari della Via |
Commento su Marco 16,15-20 Proclamare il Vangelo non è solo parlare o ripetere le parole del Vangelo, ma è testimoniarle nel mondo. Dio garantisce che quest'opera di annuncio della Parola viene accompagnata da segni, perché l'annuncio del Vangelo non è fatto semplicemente di parole e ragionamenti convincenti, ma da fatti concreti. E ciò succede perché «il Signore agiva insieme con loro»! Il cristiano è investito da una missione non solitaria, perché dovunque proclama e mostra la bellezza del Vangelo è assistito dal Signore stesso. La proclamazione del Vangelo, possiamo dire, che è in qualche modo un "esorcismo vivente", quella parola viva ed efficace che può liberare dal male e cambiare la vita di molti. Il mondo, purtroppo, sempre di più fa a meno della bellezza della predicazione; ciò è triste perché colui che è il pane ci ha detto di essere lievito, e noi abbiamo paura di inserirci nel mondo, perché quest'ultimo banalizza il Vangelo. Oggi tanti si professano liberi, liberissimi, ma se vogliono seguire Gesù lo nascondono, perché gli altri potrebbero farli oggetto di derisione. Ciò è dovuto anche a una banalizzazione della fede che opera anche nella Chiesa, una mondanità e un clericalismo che, come ci ricorda, papa Francesco, allontanano dal messaggio di Dio. Perciò ora è tempo di conversione per tutti! Tanti cristiani si nascondono in fedi private, sempre meno comunitarie, a volte in modi superstizioni più che ispirati al Vangelo. Preghiamo perciò per la Chiesa e per i cristiani, che possano essere annunciatori di una grande bellezza e consapevoli dell'assistenza di Dio; noi mettiamo la testimonianza e quando serve le parole, Dio confermerà con segni la Sua presenza. Qualcuno mi diceva, un prete europeo, di una città europea: "C'è tanta incredulità, tanto agnosticismo nelle nostre città, perché i cristiani non hanno fede. Se l'avessero, sicuramente la darebbero alla gente". Manca la missionarietà. Perché alla radice manca la convinzione: "Sì, io sono cristiano, sono cattolico...". Come se fosse un atteggiamento sociale. Nella carta d'identità ti chiami così e così... e "sono cristiano". È un dato della carta d'identità. Questa non è fede! Questa è una cosa culturale. La fede necessariamente ti porta fuori, ti porta a darla: perché la fede essenzialmente va trasmessa. Non è quieta. "Ah, Lei vuol dire, padre, che tutti dobbiamo essere missionari e andare nei Paesi lontani?". No, questa è una parte della missionarietà. Questo vuol dire che se tu hai fede necessariamente devi uscire da te, e far vedere socialmente la fede. La fede è sociale, è per tutti: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura" (v. 15). E questo non vuol dire fare proselitismo, come se io fossi una squadra di calcio che fa proselitismo, o fossi una società di beneficenza. No, la fede è: "niente proselitismo". È far vedere la rivelazione, perché lo Spirito Santo possa agire nella gente attraverso la testimonianza: come testimone, con servizio. Il servizio è un modo di vivere. Se io dico che sono cristiano e vivo come un pagano, non va! Questo non convince nessuno. Se io dico che sono cristiano e vivo da cristiano, questo attira. È la testimonianza (papa Francesco). |