Omelia (05-02-2006) |
mons. Ilvo Corniglia |
In questo brano l'evangelista Marco descrive come una giornata di Gesù. Una "giornata tipo", che si apre e si chiude con la preghiera: al mattino del sabato Gesù partecipa al culto nella sinagoga di Cafarnao (v. 29). Il giorno seguente, poi, "si alzò quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava" (v.35). La preghiera avvolge l'intera giornata e gli dà la forza e la carica per l'attività molteplice che svolge in favore di quanti soffrono. Questo testo, che si articola in diverse scene, è così vivace e pittoresco, così ricco di particolari, da far pensare che alla sua base ci sia il racconto di un testimone oculare, cioè Pietro, di cui Marco era discepolo. - La prima scena si svolge nella "casa di Simone e di Andrea". In seguito agli scavi archeologici è stata identificata con grande probabilità la casa di Pietro. Qui Gesù guarisce la sua suocera. E' la prima guarigione che compie e destinataria è una donna, nell'ambito di una casa, all'interno di una famiglia. Con questo miracolo - come con ogni altro - Gesù manifesta la sua potenza sovrumana e la sua attenzione misericordiosa verso chi soffre. Mostra anche che il Regno di Dio - cioè la presenza di Dio Amore - attraverso di Lui entra nel mondo vincendo tutte le forme del male che minacciano la vita e la rendono meno umana. Gesù non guarisce tutti i malati, ma le guarigioni che opera rivelano già in anticipo che cosa accadrà quando il Regno verrà nella sua pienezza: tutte le malattie saranno eliminate. "La sollevò" (=la fece alzare). Questo verbo, che esprime il gesto fisico con cui viene compiuta la guarigione della donna, nel N.T. è impiegato abitualmente per indicare la risurrezione di Gesù. Quindi potremmo intendere: la "risuscitò" dalla malattia grave, che è l'anticamera della morte, ma soprattutto dal peccato, cioè dall'egoismo e ripiegamento su se stessi. Il frutto di tale "risurrezione": la donna "si mise a servirli". Il servizio è segno della perfetta guarigione fisica e anche della sua gratitudine. Ma soprattutto il senso è che, una volta risanata integralmente da Gesù, "risuscitata" da Gesù, essa è resa capace di servire Lui e i fratelli. Se Gesù ti guarisce e ti "risuscita", il dono ricevuto, anche quello della salute fisica, va messo al servizio degli altri. In ogni incontro autentico con Gesù veniamo liberati da ogni malattia spirituale e ci assumiamo l'impegno di "servire". Questo verbo nella Chiesa primitiva indicava il servizio dei poveri, ma anche il servizio della Parola. Chi - come la donna - è guarito da Gesù si impegna al servizio del Vangelo (cfr. Paolo in 1Cor. 9,16-23: II lettura). L'annuncio del Vangelo e la carità verso i poveri e i sofferenti rimane sempre il "servizio" svolto da "malati" che Cristo ha risanato e continua a risanare. Quante volte mi ritrovo nella condizione della suocere di Pietro? "Quando sono colto dall'ira, ho la febbre; ogni vizio è febbre" (san Gerolamo). E' decisivo incontrare Gesù, accogliere l'intervento del Medico celeste, grazie anche all'intercessione di altri: appena Gesù arriva in casa, "subito gli parlarono di lei". Quando in famiglia e nei diversi ambiti della convivenza ecclesiale e sociale qualcuno ha la "febbre", ci è spontaneo parlare di lui a Gesù? Sarebbe il primo e più grande atto d'amore verso quel fratello o quella sorella. - La seconda scena si svolge alla sera, quando terminato il sabato - durante il quale era d'obbligo il riposo assoluto - "gli portarono tutti i malati e gli indemoniati". Gesù è come assediato e circondato da un mare di dolore e di miseria. Egli è il medico che "guarisce" quanti ricorrono a Lui. Non nel senso però che compie quasi un'operazione magica. La sua è una cura, una "terapia" (è tale il senso del verbo "guarire"), che perciò suppone una reazione, una collaborazione da parte del malato: la fede. E' spontaneo il richiamo al brano di Giobbe (7, 1-7: I lettura), dove abbiamo incontrato il dramma insolubile di un uomo che soffre, pur essendo innocente. Giobbe descrive il suo dolore personale, ma in termini che evocano la condizione di tanti sofferenti. Egli però vive il suo dolore non da solo, ma in dialogo con Dio e - sommerso dall'angoscia e dal buio - lancia verso di Lui una preghiera: "Ricordati!" Questa espressione nella Bibbia indica la supplica a Dio perché sia fedele alla sua alleanza e intervenga in favore dei suoi che sono nel dolore. Dio si è ricordato! La sua risposta al grido di Giobbe e dell'umanità sofferente è l'attività "terapeutica" di Gesù, il Figlio che Dio ha mandato a guarire le malattie e a condividere le sofferenze degli uomini. Il Signore che "risana i cuori affranti e fascia le loro ferite.." (Sal. 146: sal resp:) rivela la sua onnipotenza e misericordia attraverso l'opera di Gesù. provocando la lode e riconoscenza dei suoi fedeli. - Terza scena: "si ritirò in un luogo deserto e là pregava" Gesù è impegnato in un'attività incessante, ma sa anche prendersi il tempo per stare con Dio nel silenzio e nel raccoglimento. Non è una fuga dal mondo per godersi un po' di tranquillità, ma è il bisogno di "perdersi" tra le braccia di suo Padre abbandonandosi al colloquio filiale con Lui. "Pregava": il tempo del verbo (imperfetto) indica un'azione prolungata. Gesù ha tanto da fare, ma per Lui la prima cosa da fare è la preghiera. E' qui che con suo Padre rivede il proprio programma e comprende che non può legarsi a nessun luogo né lasciarsi catturare dalla gente di Cafarnao, che lo cerca per i vantaggi che ne riceve. Nella preghiera Gesù trova la luce e la forza per riscegliere il primato dell'evangelizzazione e della missione universale: "Andiamo altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto! E andò per tutta la Galilea". La preghiera fa riprendere a Gesù la strada dell'evangelizzazione. Egli sceglie di nuovo il servizio e non il successo. E' una lezione permanente per noi cristiani: più la missione è vasta e più l'attività evangelizzatrice è impegnativa, più dobbiamo ritagliarci il tempo per stare in colloquio col Signore. "Più riceviamo nella preghiera, più possiamo dare nella vita attiva" ( Madre Teresa di Calcutta). In effetti, nell'incontro con Dio si fa ogni volta il "pieno" che poi tracima sugli altri. E allora l'attività e la vita con gli altri sarà un parlare di Lui, una trasparenza di Lui. "Lasciati mancare il tempo per qualsiasi altra cosa, mai però per la preghiera, e realizzerai un mucchio di cose in breve tempo" (suor Lucia, veggente di Fatima, in una lettera a un nipote sacerdote). Di fronte a quanti oggi si attendono dalla Chiesa soltanto servizi terreni, essa rimane fedele alla stessa strategia di Gesù, che si sentiva inviato a combattere il male nella sua globalità (fisico e spirituale): guariva, ma soprattutto evangelizzava. E' la stessa linea di Paolo ( II lettura), per il quale annunciare il Vangelo è una necessità d'amore: "Guai a me se non predicassi il Vangelo!". Lo fa in modo gratuito e con una metodologia originale: "Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli...mi sono fatto tutto a tutti". (1Cor 9, 16-22). E' il "farsi uno"con l'altro, vivendo come propria la realtà dell'altro. L'altro, cioè tutti, nessuno escluso. E' il condividere la gioia e il dolore dell'altro, liberandosi interiormente di tutto quello che - pensieri, problemi etc. - può impedire questa totale condivisione e pura attenzione all'altro. Il Vangelo si annunzia per amore e con amore. Oggi la Chiesa italiana celebra la 28° Giornata per la Vita, sul tema: "Rispettare la vita". La vita umana "viene prima di tutte le istituzioni...Il rispetto della vita comincia dalla tutela della vita di chi è più debole e indifeso...Se nel cuore cerchi la libertà e aspiri alla felicità, rispetta la vita, sempre e a ogni costo". L'intero documento dei Vescovi merita di essere attentamente meditato. Il rispetto e l'amore per la vita i credenti lo imparano e lo attingono da Gesù, che il Vangelo odierno presenta tutto impegnato a liberare l'uomo da ogni forma di malattia. Troviamo qui anche anticipato il tema della Giornata Mondiale del Malato, che si terrà sabato 11 febbraio: "Alla scuola del malato". La sofferenza è "maestra" di vita per il malato, anzitutto, e per quanti, nel rapporto con lui, ricevono un insegnamento molteplice sul senso della vita e sul modo di gestirla. Si pensi, es. alla testimonianza di Giovanni Paolo II, che "della cattedra della sofferenza ha fatto un vertice del suo Magistero" (Ben XVI) Com'è la mia giornata? E' fasciata dalla preghiera, che motiva e alimenta il mio modo di vivere ogni forma di relazione, con speciale attenzione ai più poveri e malati? Mi sento inviato a "predicare" il Vangelo in ogni ambiente e circostanza con la strategia dell'amore? Cosa mi manca perché si possa dire che lì dove io vivo, lavoro, parlo, amo, costruisco un rapporto, è Gesù che lì vive, lavora, parla, ama... e si dona? |