Omelia (28-04-2024)
don Alberto Brignoli
Attaccati al Signore: e sei protagonista!

In queste domeniche del Tempo di Pasqua, i brani di Vangelo ci mettono a confronto con un Gesù particolarmente "attivo" e protagonista; un Gesù, potremmo dire, che "ci mette la faccia".
Al di là delle narrazioni di apparizione ai discepoli dopo la sua Resurrezione, nelle quali è sempre lui che prende l'iniziativa (data anche l'incapacità di riconoscerlo risorto e vivo da parte dei suoi seguaci), nella scorsa e nell'odierna domenica Gesù si presenta nel Vangelo con l'affermazione "Io sono". Sappiamo bene che l'evangelista Giovanni utilizza questa espressione non solo per presentare Gesù ai suoi uditori, ma anche per ribadire la sua divinità, dal momento che "Io sono", nella Bibbia e nella tradizione ebraica, è l'espressione con cui Dio si presenta a Mosè nel roveto ardente, e quindi è il modo che Dio sceglie per rivelarsi al suo popolo. A questa espressione "Io sono", Giovanni ha associato due paragoni, due piccole "parabole": domenica scorsa quella del Pastore e oggi quella della Vite. Entrambe le parabole, così diverse nella loro espressione, hanno però un messaggio in comune: quello di trasmettere la forza della vita che ci viene dall'incontro con Gesù risorto. Il Buon Pastore si presenta come colui che dà la vita (e la vita in abbondanza) per le sue pecore; la Vite - come ogni albero da frutto - comunica vita proprio attraverso la produzione dei frutti.
Per quest'ultima parabola, quella di oggi, il Signore avrebbe potuto trovare la similitudine attraverso qualsiasi albero da frutto; ma il fatto di aver utilizzato la simbologia della vite non è una scelta qualsiasi. Innanzitutto, nella storia d'Israele la vite è sempre stata presa dalla tradizione profetica come simbolo del popolo di Dio: un popolo che ha ricevuto da Dio tutte le cure immaginabili e possibili (come un vignaiolo fa con la propria vigna) ma che spesso ha dato frutti immangiabili, se non addirittura dannosi. Inoltre, la vite non è un albero da frutto come gli altri. Se, infatti, gli altri alberi da frutto hanno una struttura che permette loro di essere utilizzati anche qualora non facessero frutti (anche solo per l'ombra e il riparo, ma comunque il loro legno è utilizzabile anche per la costruzione di mobili o altro), l'albero della vite serve esclusivamente per dare frutto. E Gesù, nel Vangelo di oggi, ce lo dice molto chiaramente: "Chi non rimane in me, viene gettato via come il tralcio e secca: poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano". E morta lì.
C'è ben poco da fare: unico scopo dell'albero della vite è di produrre uva, e uva buona, dalla quale peraltro si può trarre anche del buon vino. Questo rimarca ancor di più il fatto che un ramo, un pezzo di legno di vite (in termine tecnico, un "tralcio") se non rimane attaccato al proprio fusto, al proprio albero, non serve neppure per farne un asse da ponteggio! Serve solo a essere bruciato: e per di più, non fa nemmeno una gran bella fiamma.
Quel protagonismo di Gesù di cui parlavamo all'inizio, allora, nella parabola della vite si fa davvero forte: è lui la Vite "vera" (a dispetto di altre viti che producono frutti inservibili); noi non siamo neppure i frutti, bensì i tralci, i rami; se non rimaniamo attaccati a lui, finiamo per essere buttati via e bruciati; la produzione (i buoni frutti) non si deve certo alle nostre buone opere, ma all'opera del vignaiolo, dell'agricoltore, che non è neppure Gesù, bensì il Padre. È lui che cura la vite; è lui che taglia dove deve tagliare per gettare via ciò che non serve; è lui che, al momento della potatura, agisce sui tralci che danno frutti buoni perché al momento della vendemmia, portino ancor più frutto.
E noi? In tutta questa storia, che ci stiamo a fare? Dov'è la nostra opera? Dov'è la nostra attività? Qual è il nostro compito, in questa piantagione? Una pubblicità dei tempi della mia gioventù diceva che era sufficiente assumere una bevanda...ed eri protagonista! In questa parabola della Vite, cosa vuol dire per noi essere protagonisti? Fondamentalmente, una cosa sola: rimanere uniti a Gesù, rimanere in lui. Che tra l'altro è ciò che, nella loro semplicità e nella loro assoluta mancanza di formazione biblica e teologica, i nostri vecchi ci raccomandavano: "Stai attaccato al Signore!". Senza di lui, non possiamo fare nulla.
E questo ci insegna molte cose: ci insegna che non siamo noi l'albero, e quindi non siamo noi a mettere radici nel terreno, cioè a dare inizio alla nostra storia. Il mondo, anche quel pezzo di mondo in cui siamo inseriti e viviamo, non l'abbiamo creato noi, non dipende da noi, e non morirà con noi.
Ci insegna che non siamo noi i frutti, perché il grappolo d'uva è certamente attaccato al tralcio e dipende dal tralcio, così come il tralcio è attaccato e dipende dalla vite, ma il frutto è comunque altro da noi, per cui nessuno di noi può avere la pretesa di vantare il proprio protagonismo sui frutti che produce, né tantomeno avere la pretesa di raccogliere i frutti del proprio lavoro, perché verranno sempre dopo di noi, a volte anche lontano da noi, e saranno altri a goderne.
Ci insegna, inoltre, che non siamo neppure i vignaioli, i coltivatori di questa vigna: il vignaiolo, l'agricoltore, è un Altro. È lui che decide dove tagliare e gettare via; è lui che decide dove potare perché la vite dia buoni frutti; è lui, e non le nostre opere di ascesi, di sacrificio e di purificazione, a decidere dove e quando portare frutto.
Tutto questo ci aiuti, sempre più, a comprendere quella frase che i nostri vecchi ci raccomandavano: "Stai attaccato al Signore!". Non è una frase vecchia, ammuffita o anacronistica: in tutta questa selva di rovi, di sterpagli e di arbusti nella quale ci troviamo a vivere, forse Gesù vera Vite è ancora l'unico albero a cui vale la pena rimanere attaccati!