Omelia (12-05-2024) |
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) |
Commento su > At 1,1-11; Sal 46; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20 Credo che ognuno di noi conservi memoria di omelie, antiche o recenti, che suonavano (suonano) pressappoco così: «Gesù è "salito", si è "elevato" al cielo. E dunque al cielo noi dobbiamo guardare, a quel cielo anche a noi destinato quando - se lo meriteremo - ci libereremo dal nostro corpo mortale». È una sintesi, certo, ma il modello omiletico era (è?) sostanzialmente questo. Con tutto il rispetto, una predicazione siffatta si fonda su una teologia preconciliare. Eppure non sono quei teologi non graditi alle istituzioni ecclesiastiche a smontare questo ragionamento, è Gesù stesso a farlo: "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo...? (At 1-11). "Elevarsi", "salire", sono concetti che non appartengono a Gesù di Nazareth. La "teologia dell'ascensore" non gli si addice. La sua è una teologia del cammino, della presenza, dell'impegno in mezzo agli uomini e alle donne di ogni tempo: di qui il richiamo ai suoi discepoli a non guardare il cielo. L'invito è ovviamente rivolto anche a noi. È un invito a guardare alla terra e il fatto che oggi, mentre scrivo, questa terra sia martoriata, sfruttata, distrutta sistematicamente da sfruttatori e da governanti senza scrupoli, solo attenti al proprio potere, incapaci di guardarsi negli occhi con sincerità e senza cinismo, l'invito si fa ancora più pressante. Oggi basta aprire un qualunque quotidiano o una rivista di evasione per vedere come il corpo venga idealizzato, esposto, strumentalizzato. Corpi belli, esposti al sole per un'abbronzatura perfetta, inneggianti alla salute, al benessere, alla giovinezza. Corpi in corsa su campi fioriti con un messaggio subliminare: «Prendimi!». E al contempo ben altre immagini di corpi si presentano al nostro sguardo: corpi distrutti, frammenti di corpi quali si vedono nelle fosse comuni; Ucraina, Israele e Palestina, Goma in un'Africa sempre senza pace... corpi orrendamente mutilati, nudità esposte al ludibrio pubblico, come quella del Cristo in croce: una croce, segno del patire, che proietta la sua ombra lugubre sul mondo, da quella collinetta chiamata Golgota. Ma poi Gesù è risorto ed è "salito" al cielo: su questo si fonda la nostra fede, pur nelle inevitabili oscurità. E che cosa dunque ci chiede, Gesù, nel giorno della sua ascensione "al cielo", con il suo invito ad "ascendere alla terra"? Ci chiede di amare il corpo, di rispettarlo, di mettere a disposizione tutta la nostra esistenza, anche corporea, con tutta la fatica che ne consegue, nell'impegno a salvare questa terra. Diceva, con sintesi mirabile, D. Bonhoeffer: "Solo chi ama la terra desidera che sia eterna". Ma perché possa essere eterna la terra deve essere trasformata. Non per un intervento miracoloso dal cielo, ma da noi. Dio non interviene per salvare la terra: siamo noi a doverlo fare; se non lo facciamo la terra perirà. C'è un bel testo del gesuita, teologo, filosofo e giurista spagnolo Francisco Sùarez [1548 (tre anni dopo l'inizio del Concilio di Trento) - 1617], esponente della scolastica barocca, che già in tempi di Controriforma, commenta la delicata questione del rapporto tra azione di Dio e azione dell'essere umano: «... si dice che Dio non dà solo il potere di operare, ma anche la volontà; anzi, da questo punto di vista di dice che Egli non solo opera in noi, affinché noi vogliamo, come Agostino spiega chiaramente in molti luoghi, (...) è solo Dio che insegna più interiormente e attrae l'uomo. Tuttavia, nell'uomo che presta il suo consenso resta sempre integro il diritto della libertà, e per questa ragione, sebbene sia solo Dio a operare affinché noi vogliamo, non è però Lui solo ad operare questo volere, ma lo opera con noi [corsivo mio]...» (Brevis resolutio questionis de concursu et efficaci auxilo Dei ad actus liberi arbitrii necessario, § 56, in "Opera omnia", editio nova, a Carolo Berton, apud L. Vivès, Parisiis 1866, vol II, p.389). Quindi, anche se Dio interviene per darci la volontà di operare, siamo noi che operiamo e, così facendo, cooperiamo misteriosamente con Lui. Questo significa assumersi una responsabilità verso il mondo, consci della nostra debolezza, delle nostre innumerevoli fragilità, ma anche nel contempo delle modalità veramente eccezionali, delle risorse inutilizzate che possediamo per operare questa trasformazione. Partendo sempre da una lettura della storia che privilegi il piccolo, il debole, il povero, il perdente. Una di queste modalità è quella di impegnarsi nella politica, non avendo paura di sporcarsi le mani, demistificando la politica - questa sì veramente sporca - di coloro che la considerano il luogo di occupazione del potere, attraverso cui ottenere dei benefici, nonché l'impunità per coprire azioni disoneste passate e presenti. La politica dei fascismi e dei nazismi del nostro tempo, diffusi nuovamente in tutta Europa, che invocano i pieni poteri e fingono di dimenticarsi le ceneri uscite dai camini dei campi di sterminio con i quali la terra d'Europa è stata fecondata. È attraverso la politica - che guarda a questa terra e non al cielo e promuove in essa una convivenza fraterna - che si realizza la liberazione o (ed è un sinonimo) la redenzione del mondo. z Sapendo anche che Dio non interverrà, perché ha nascosto il suo volto e tocca a noi rivelarlo. Questo velamento del volto di Dio è la grande forza dell'uomo. Come scrive Emmanuel Lévinas: "Nascondersi il volto per esigere dall'uomo - sovrumanamente - tutto, aver creato un uomo capace di affrontare il suo Dio da creditore e non, come al solito, da debitore - che grandezza veramente divina! (...) Capace di confidare in un Dio assente, l'uomo è altresì l'adulto che misura la propria debolezza (...) E dichiara [a Dio] che lo amerà, qualunque cosa Dio faccia per scoraggiare il suo amore... (Amare la Torah più di Dio, in Zvi Kolitz, Yossi Rakover si rivolge a Dio, Adelphi, Milano 20078, pp. 90-91). Questo è l'impegno, non facile ma percorribile, che ogni coppia ed ogni famiglia devono scoprire ed al quale educarsi ed educare.
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