Omelia (05-05-2024)
Casa di Preghiera San Biagio FMA
Commento su Gv 15,17

Come vivere questa Parola?

La preoccupazione dell'evangelista Giovanni per la giovane Chiesa a cui rivolgeva il suo vangelo, era quella che la carità regnasse tra le persone e perché fosse conosciuto da tutti l'amore di Dio manifestato nell'invio di Gesù. Questa rimane, in ogni tempo, la condizione fondamentale per la Chiesa: gli uomini saranno attirati ad essa dal segno dell'amore fraterno. Le nostre comunità, le nostre assemblee devono dunque essere aperte a tutti: i non cristiani, i poco convinti, gli indifferenti, chi è in situazione di ricerca... Da una parte, l'appartenenza visibile dei cristiani alla Chiesa mediante il battesimo, la loro esplicita professione di fede nel Signore Gesù che raggiunge il suo vertice nella Celebrazione Eucaristica, devono mostrare a tutti l'oggetto della loro ricerca e il termine della loro avventura spirituale. D'altra parte i credenti, gli «impegnati» debbono rinnovare continuamente la loro disponibilità a vincere la tentazione di non dialogare con chi è fuori dell'area cristiana, a ricordare che «chi teme Dio e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto». Chiunque incontra assemblee cristiane dovrebbe sentirsi accolto come in casa propria, in una famiglia a cui già virtualmente appartiene, fino a che giunga alla piena conoscenza del Dio di Gesù Cristo. Solo così acquisteranno concretezza e credibilità le invocazioni al Paraclito «perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito».


VIVO LA PAROLA: "Rimanete nel mio amore"


La voce di un Padre del deserto

Chi ha il pegno dello Spirito e possiede la speranza della risurrezione, tiene come già presente ciò che aspetta e quindi può dire con ragione di non conoscere alcuno secondo la carne, di sentirsi, cioè, fin d'ora partecipe della condizione del Cristo glorioso. Ciò vale per tutti noi che siamo spirituali ed estranei alla corruzione della carne. Infatti, brillando a noi l'Unigenito, siamo trasformati nel Verbo stesso che tutto vivifica. Quando regnava il peccato eravamo tutti vincolati dalle catene della morte. Ora che è subentrata al peccato la giustizia di Cristo, ci siamo liberati dall'antico stato di decadenza.
Quando diciamo che nessuno è più nella carne intendiamo riferirci a quella condizione connaturale alla creatura umana che comprende, fra l'altro, la particolare caducità propria dei corpi. Vi fa cenno san Paolo quando dice: «Infatti anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così» (2 Cor 5, 16). In altre parole: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14), e per la vita di noi tutti accettò la morte del corpo. La nostra fede prima ce lo fa conoscere morto, poi però non più morto, ma vivo; vivo con il corpo risuscitato al terzo giorno; vivo presso il Padre ormai in una condizione superiore a quella connaturale ai corpi che vivono sulla terra. Morto infatti una volta sola non muore più, la morte non ha più alcun potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio (cfr. Rm 6, 8-9).

Dal «Commento sulla seconda lettera ai Corinzi» di san Cirillo di Alessandria, vescovo


Roberto Proietti - robertocerreto82@gmail.com