Omelia (12-05-2024)
fr. Massimo Rossi
Commento su Marco 16,15-20

La vicenda terrena di Gesù è terminata; comincia la storia della Chiesa.
La missione ricevuta dal Padre, diventare il Cristo e rivelare l'amore infinito di Dio, il Signore l'ha
compiuta. Più di così non poteva fare! Ora inizia quella degli Apostoli.
Il momento dell'Ascensione è particolarmente delicato, soprattutto per gli Undici. Un po' come
quando un giovane, diventato adulto, abbandona la famiglia e va per la sua strada. Quello che
poteva imparare lo ha imparato; ora tocca a lui cimentarsi con la vita.
Quella degli Apostoli non fu una vita facile. Del resto, quale vita lo è?
Raggiungere una sufficiente forma di autonomia è il fine di ogni cammino di crescita e di
maturazione: desiderio ancestrale, che ciascun uomo e donna nutrono fin dalla più tenera età,
quando ancora non sanno camminare; l'autonomia intesa proprio come capacità di camminare da
soli, si rivela al tempo stesso una sfida piena di incognite, dunque un passo che costa fatica; una
fatica che non tutti si sentono in grado di affrontare. Ecco allora la tentazione di indugiare ancora
nel nido caldo - così lo chiamano gli psicoanalisti - della famiglia, protraendo sine die la
condizione di figlio, magari sopportata con fatica, a prezzo di discussioni e litigi con i genitori,...
ma che, tutto sommato, conviene economicamente parlando, ma soprattutto psicologicamente.
Non è il caso degli Apostoli!
Lasciando questo mondo, il Signore li proietta nel mondo, ma non senza averli prima dotati di tutte
le facoltà necessarie a dare inizio a questa bellissima avventura chiamata Chiesa.
Quanto, appunto, alle facoltà delle quali Cristo aveva dotato gli Apostoli, il Vangelo allarga per così
dire i destinatari dei poteri straordinari concessi agli Undici a tutti quelli che crederanno alla
Parola.
Con l'espressione "chi crederà" l'Evangelista intende dunque non solo coloro che sono
chiamati ad annunciare il Vangelo nel quale hanno creduto, ma anche coloro che hanno ascoltato
l'annuncio della fede e vi hanno aderito. In pratica, tutti i battezzati.
La prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli ci racconta gli ultimi giorni che gli Undici
trascorsero in compagnia del loro Maestro, dopo la sua risurrezione. San Luca è l'unico Evangelista
ad informarcene.
È naturale che i discepoli fossero impazienti di sapere come sarebbe andata a finire la storia, quando
cioè Dio avrebbe ristabilito e consolidato il Suo regno. Il Signore rispose che la fretta non è mai
una buona consigliera...

Un aspetto andava tuttavia chiarito fin da subito; e il Signore lo chiarì: "Non spetta a voi conoscere
tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere...":
una sorta di ‘paletto' che ci insegna a
non avere troppe aspettative sul futuro della Chiesa, ricordando che la Chiesa è di Cristo e la
conduce Lui, non noi!
Questo è forse l'aspetto più delicato della vocazione cristiana, che è vocazione autentica se e
soltanto se è un servizio reso alla Chiesa
. Nessuna velleità di salvare il mondo - questo lo ha già
fatto Cristo! -. Non ammaliamoci della sindrome del Buon Samaritano - o di Florence
Nightingale
-, ritenendoci (quasi) indispensabili, o, peggio, insostituibili...
Così dice il Signore: "Anche voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è stato ordinato, dite: siamo
servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare."
(Lc 17,10).
Ecco l'eterno problema: stare in bilico tra la pigrizia che ci fa compiere il passo più corto della
nostra gamba, lavorando al disotto delle nostre potenzialità, e la temerarietà - un modo elegante di
chiamare il narcisismo - che ci spinge a compiere il passo più lungo della nostra gamba,
sovrastimando le nostre capacità, financo impedendo agli altri di compiere l'opera loro.
Mi rendo conto di aver toccato un tema scottante e spinosissimo, che interessa ogni sodalizio e
aggregazione fra cristiani: dalla coppia di coniugi alla comunità allargata della chiesa locale.
Come credenti in Cristo e nella Chiesa, non dobbiamo mai dimenticare un principio, anzi due.
Primo: l'autorità abilitata a riconoscere i carismi personali e come impiegarli per il bene comune,
non è l'individuo, ma la comunità.
Secondo: l'opera della salvezza non si porta avanti da soli, come cani sciolti, ma sempre di concerto
con l'altro, l'altra e/o con gli altri. Parola d'ordine: fare spazio!
Questo che si configura come vero e proprio apprendistato per imparare il mestiere, meglio
ancora, l'arte del discepolo, scoraggia - dovrebbe! - ogni spirito di rivalità, ogni istinto di
competizione al quale, nostro malgrado, siamo stati educati fin dall'infanzia; insegna l'umiltà che,
lo sappiamo, è la conoscenza del nostro vero sé, senza esaltazione, né avvilimento.
L'abilità del funambolo rimane ancor sempre il modello migliore, dal quale prendere ispirazione
per restare in equilibrio - sempre precario - tra due estremi: lo stacanovismo possibile sintomo di
orgoglio, e la pigrizia che conduce il disimpegno.
Concludo la riflessione citando una preghiera famosissima, composta dal teologo protestante
statunitense, Reinhold Niebuhr, (1892-1971):
"O Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di
cambiare quelle che posso, e la saggezza per conoscerne la differenza. Vivendo un giorno alla
volta, assaporando un momento alla volta; affrontando le difficoltà come sentiero per la pace.
Prendendo, come ha fatto Gesù, il mondo così com'è, non come io vorrei che fosse. Confidando
che Egli metterà a posto tutte le cose, se io mi arrendo al Suo volere. Che io possa essere
ragionevolmente felice in questa vita e infinitamente felice con Lui e per sempre, nella
prossima.".

E così sia.