Omelia (26-05-2024)
don Alberto Brignoli
Tutto, tranne che un Dio statico

"Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l'uomo sulla terra e da un'estremità all'altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che, cioè, un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l'hai udita tu, e che rimanesse vivo?".
L'esordio della Parola di Dio di questa Solennità della Santissima Trinità non poteva essere più significativo di questo: un invito a porci delle domande. E non si tratta di domande qualsiasi, ma di domande su uno dei misteri più grandi della nostra fede: chi è Dio? Come si manifesta all'uomo? E cosa vuole da noi?
Subito dopo, un altro interrogativo infittisce ancor di più il mistero: "Ha mai tentato un Dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un'altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto, sotto i tuoi occhi?". In ogni religione che si rispetti, è l'uomo che va alla ricerca di qualcosa che dia un senso alla sua esistenza, e l'uomo religioso trova la risposta a questa domanda di senso pensando a un Essere a lui superiore, dandogli il nome di una divinità il più possibile familiare a lui, e instaurando con lui un rapporto di fedeltà, di fiducia, di venerazione e di rispetto. È fuori da ogni schema mentale pensare che sia una divinità ad andare in cerca dei propri fedeli, come se lo facesse per avere qualcuno che la adori, come se non volesse rimanere solo...
Eppure, a quanto pare, Dio è così: non può, e non vuole, rimanere da solo. Non gli va di rimanere racchiuso su nei cieli. E neppure permette all'uomo di andare in cerca di lui, facendosi trovare solamente dopo un'affannosa ed estenuante ricerca fatta il più delle volte di sofferenza, di momenti di sconforto e anche di rabbia nei suoi confronti. Il Dio della Bibbia è Colui che si rivela, che si mostra presente, Colui che si lascia trovare da chi lo cerca con cuore sincero perché, ancor prima, è lui stesso che mette nel cuore dell'uomo il desiderio di lui. È il Dio della compagnia, non della solitudine; il Dio della condivisione, non dell'esclusività; il Dio della storia, non dell'eternità; il Dio autorevole, non il Dio autoritario; un Dio che per farsi rispettare e venerare non crea sudditi, ma figli. In definitiva, un Dio che non sopporta l'idea di farla da padrone, e che invece ama essere Padre. E non è un Dio immobile che impartisce ordini dall'alto: si fa presente, nella storia dell'umanità, "con prove, segni, prodigi e battaglie", perché l'uomo sappia che "il Signore è Dio lassù nel cielo così come quaggiù sulla terra".
La Sacra Scrittura è un continuo tentativo di descrizione delle prove, dei segni, dei prodigi e delle battaglie affrontate da Dio per rendersi credibile agli occhi degli uomini: non sempre questi tentativi sono andati a buon fine, e di certo, non per colpa di Dio, quanto per l'indifferenza degli uomini. Ma Dio non si è perso d'animo, e il suo prodigio più grande lo ha affidato allo Spirito Santo: l'Incarnazione nella vicenda storica del Figlio Gesù Cristo, la più geniale delle trovate di Dio, che per farsi incontrare dall'uomo si fa uomo come lui.
Oggi siamo qui a celebrare il mistero di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo ripetendo una formula in maniera quasi abitudinaria, facendoci il segno della croce nel nome di un Dio che è unico e che si rivela in tre persone con un gesto che ripetiamo un mucchio di volte, ma che a causa della nostra indifferenza rischia di dire poco o niente alla nostra vita di ogni giorno. Se invece sapessimo guardare alla nostra fede in modo "trinitario", così come la Bibbia ce la tramanda, oggi eviteremmo di compiere e di ripetere tanti errori del passato, spesso commessi, purtroppo, anche in nome della religione.
Non metteremmo mai Dio al servizio dei nostri progetti, leciti o meno che siano; non ci costruiremmo un Dio a nostra immagine e somiglianza; non faremmo dell'arrivismo e dell'apparenza il nostro altare, trasformando le chiese in palcoscenico per le nostre passerelle; non useremmo mai la religione come pretesto per fare delle guerre, più o meno sanguinose; non ci sentiremmo mai dei "perfetti" o anche solo degli "arrivati" riguardo alle cose di Dio, ma ci metteremmo continuamente in cammino, perché l'ultimo comando di Gesù ai suoi discepoli nel Vangelo - l'abbiamo ascoltato oggi - è "Andate e fate discepoli tutti gli uomini battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo", ovvero immergendoli nella storia di grazia di un Dio che ha sempre rifiutato di starsene beatamente seduto su una nuvoletta in cielo.
Se crediamo che il Dio Padre, Figlio, e Spirito Santo è il Dio della storia condivisa e vissuta in compagnia dell'uomo, non possiamo accontentarci di una fede fatta di riti, di celebrazioni e di preghiere gettate al vento. Occorre che viviamo una fede a misura di Dio Padre, piena di fiducia in lui e nell'uomo; a misura di Dio Figlio, in piena condivisione con le vicende umane; a misura di Spirito Santo, sempre in cammino sulle strade dell'umanità.