Omelia (02-06-2024)
don Alberto Brignoli
Dal Cenacolo al Getsemani, in processione

"Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi": con questa frase si chiude la lettura del Vangelo di oggi. Una frase marginale, all'apparenza, che parla di un semplice spostamento, quello dal Cenacolo al Getsemani. In realtà, a distanza di vari secoli, è ciò che continuiamo a fare nella stragrande maggioranza delle nostre comunità parrocchiali in questa Solennità del Corpus Domini: dopo aver celebrato l'Eucaristia, usciamo inneggiando e cantando, e accompagniamo lungo le strade dei nostri paesi e delle nostre città il Signore vivente.
Lo facciamo tra quelle strade e quei marciapiedi che sono il "monte degli Ulivi" di oggi: un Getsemani di angosce, di enormi sofferenze, ma anche di grandi sacrifici accettati con l'intento di costruire speranza, di ridonare vita, di annunciare resurrezione. La celebrazione del Mistero Eucaristico, condiviso con i fratelli più cari, con le persone più vicine a noi, acquista il suo pieno significato in quel camminare di Dio in mezzo a noi e di noi insieme con Dio, fatto appunto di canti e inni, di preghiere e di suppliche, di richieste e di promesse di fede, che ci riporta in continuazione al Getsemani di oggi.
Una processione eucaristica, oggi, anche da un punto di vista coreografico, nella maggior parte dei casi non è più un tributo d'onore e di sottomissione al Corpo e al Sangue di Cristo al quale, come avveniva in passato, nessuno può permettersi di mancare, anche solo per il fatto che la fede cristiana non ha più quella dimensione sociologica universalmente riconosciuta che aveva una volta. Oggi, a mio avviso, si tratta invece del gesto umile e profondamente umano di un Dio che almeno una volta l'anno "esce" dal tabernacolo della sua gloria per farsi pellegrino sulle strade dell'umanità. La processione del Corpus Domini, allora, è significativa non solamente perché fatta con solennità, ma soprattutto perché impregnata di umanità e di condivisione con quanto gli uomini e le donne del nostro tempo vivono sulle strade da noi percorse, oggi, con il Signore Gesù tra le mani.
Il camminare di Dio con noi "verso il monte degli Ulivi", ossia verso il luogo quotidiano delle storie di passione, morte e risurrezione dell'umanità, acquista tutto il suo valore - ed è giusto che venga mantenuto finché ci è possibile farlo - nella misura in cui corrisponde al camminare nostro con Dio, ossia al nostro impegno di rendere visibile e concreto il suo Corpo con gesti che parlino veramente di lui e di ciò che nella messa celebriamo. A me pare, invece, di assistere spesso a un'enorme frattura tra quanto celebriamo nell'Eucaristia domenicale e quanto viviamo durante i giorni feriali che si trovano tra una domenica e un'altra, soprattutto quando viviamo la messa domenicale come l'assolvimento di un precetto, celebrato il quale ci sentiamo a posto fino alla domenica successiva.
E ci deve far riflettere, il fatto che ci sia gente che dice di non voler più partecipare alla messa domenicale perché vede le incoerenze quotidiane di noi che vi partecipiamo e facciamo la comunione con assoluta naturalità. A volte sono affermazioni gratuite, fatte per giustificare la propria pigrizia religiosa; ma è altrettanto vero che al nostro "stare bene" con Gesù nel Cenacolo, non sempre corrisponde il nostro impegno a uscire verso il Getsemani, ossia a camminare con fede e con opere di carità cristiana tra le strade delle nostra città. Gli esempi di cristiani che fanno la comunione ogni domenica e poi si comportano in maniera disonesta sbandierando la propria cattolicità si sprecano, e sono sotto gli occhi di tutti...
Non dimentichiamo mai che quell'Ultima Cena di Gesù non si è conclusa nell'intimità del Cenacolo, ma nell'incertezza del buio del Getsemani, nell'angoscia di una preghiera sussurrata a fatica, nel peso della volontà di Dio accettata nonostante fosse difficile farlo, e soprattutto nella peggiore delle prove, ossia il tradimento da parte delle persone che dicevano di amarlo.
L'Eucaristia portata dentro di noi ogni domenica e sulle strade delle nostre città una volta all'anno nella processione del Corpus Domini, è la sintesi di questa nostra storia.
Una storia fatta di un sacrificio che, come ci ha detto la Lettera agli Ebrei, ha santificato l'umanità molto più di tutti i sacrifici dell'Antico Testamento offerti per il perdono dei peccati;
una storia fatta del dono dell'amore di Dio all'umanità attraverso la terra che produce i frutti del grano e dell'uva, ma anche della fatica e del sudore dell'uomo nel coltivarli;
una storia fatta di un Corpo spezzato sull'altare della Croce perché le nostre vite non rimanessero spezzate dalla violenza che sempre ci circonda;
una storia fatta di un Calice della redenzione versato per molti ma di cui quella sera bevvero tutti, perché alla fine la salvezza non esclude nessuno;
una storia fatta di un'umanità che cammina tra alti e bassi alla ricerca della felicità, e di un Dio che nonostante tutto non si è ancora stancato di noi e continua ad alimentarci con il suo Corpo e il suo Sangue.