Omelia (12-02-2006)
Suor Giuseppina Pisano o.p.
Commento a Mc 1, 40-45

Il brano del Vangelo di questa domenica, nella essenzialità del racconto, riceve grande luce dalle parole:
"mosso a compassione", le quali, mentre svelano il mistero di Gesù, il Cristo, offrono alla nostra contemplazione un tratto commovente della sua umanità, quell'umanità, attraverso la quale egli ci ha redenti, e, allo stesso tempo, presenta un modello, sul quale costruire la vita, a somiglianza del Figlio di Dio, che ha ascoltato ed accolto, nell'infinità del suo amore, ogni uomo, anche l'infimo della scala sociale o morale.
Il testo evangelico è preceduto da una breve lettura del libro del Levitico, riguardo al quale è bene spendere qualche parola.

Il terzo libro della Bibbia, è "il libro dei figli di Levi", i membri di quella tribù che, per eredità, esercitavano il sacerdozio; il testo contiene un quadro completo e molto accurato di leggi, che regolamentavano anche i casi di lebbra, riguardo ai quali erano indispensabili delle norme igieniche, che tutelassero il popolo, norme che, di fatto, si trasformavano in una dolorosa, umiliante, e grave emarginazione.
Così recita il testo della prima lettura di oggi: "Quando uno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà, condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli. Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: «Immondo! Immondo!» Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo e se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento». (Lv. 13,1 2, 45 46 IB )

" Immondo "; e il termine esprime tutta la tragica situazione della persona colpita da quella ripugnante malattia, che intaccava non solo le membra fisiche, ma l'intera persona, nella sua dignità di essere umano, che veniva considerato, come un reprobo, colpito da Dio; uno «scomunicato», una larva d'uomo somigliante soltanto ad un cadavere ambulante.
Sappiamo che la malattia, nell'antico Israele, era considerata punizione per un peccato e la lebbra, malattia socialmente pericolosa, non poteva che essere il segno del castigo per una colpa enorme, una
"impurità" che faceva assomigliare il malato a quello che Giobbe chiama, «il primogenito della morte» (Gb.18, 13); ecco perché, spesso egli non poteva neppure avvicinarsi alle mura della città Santa.

Anche Gesù, che, lasciata Cafarnao, percorreva le strade della Palestina, per portare in ogni villaggio l'annuncio della salvezza, incontra, sul suo cammino, questa figura tragica, vaga sembianza d'uomo che avanza, con le vesti lacere, la pelle ricoperta di pustole e piaghe, mentre avverte tutti della sua malattia, col grido di "immondo!", così che tutti si allontanino, mettendosi al riparo dal contagio.
Il racconto di Marco, non fa cenno esplicito a questi particolari, li lascia intravedere dall'atteggiamento dell'uomo che supplica in ginocchio il Maestro.

Facendosi incontro a Gesù, sicuramente, egli sfidava le leggi vigenti, e le sfidava con la forza della fede, più che per la forza della disperazione, nella quale ormai erano chiusi i suoi giorni:«Se vuoi, puoi
guarirmi!»." è il suo grido, che, implicitamente, riconosce la potenza straordinaria del rabbi di Nazareth.
Forse, il lebbroso aveva sentito parlare di quel predicatore che stupiva le folle con la novità dei suoi discorsi e con l'autorevolezza delle sue parole; forse gli era giunta voce delle guarigioni da lui operate; di sicuro il suo grido e l'atteggiamento supplice della sua persona sorpresero Gesù, che ne restò commosso.

Altre volte, rivolto a chi chiedeva un miracolo, il Maestro risponderà: " la tua fede ti ha salvato...", qui, Marco dice: "...mosso a compassione, stese la mano, lo toccò "
Anche verso la suocera di Pietro, Gesù aveva steso la mano, il segno dell'amore che salva, della comunione, della fratellanza, dell'amicizia e della pace; di fronte al lebbroso c'è qualcosa di più: qui il Signore patisce assieme alla persona che chiede aiuto, ne condivide profondamente il dolore.

Il lebbroso, l'immondo, l'escluso, il peccatore, sono anche simbolo di ogni uomo in qualsiasi modo sofferente, ma, dal passaggio di Gesù Cristo in poi, nessuno è più solo con la sua angoscia o la sua disperazione, perché il Figlio di Dio, patisce, misteriosamente, con ogni uomo che soffra, qualunque sia la causa del suo dolore.
In Cristo Gesù, Dio assume su di sé, per tutta la durata dei secoli, ogni sofferenza umana.

E' la grande, consolante rivelazione del Vangelo di questa domenica: Dio, felicità assoluta e assoluta impassibilità, per il mistero dell'Incarnazione, sperimenta il dolore, in tutta la sua tragicità, lo assume su di sé e, nel sacrificio della Croce lo risana, ne redime le cause profonde e lo trasforma.
«Lo voglio, guarisci!».
E' la risposta del Signore.
In un istante, per la potenza divina del Cristo, quella larva "immonda", ritorna al suo splendore di creatura somigliante al suo Creatore, ed ha diritto a vivere, in pienezza, la sua esistenza.

La gioia dell'uomo risanato esplode, nonostante il divieto a parlarne, in una testimonianza, veramente evangelica, che Marco così riferisce: ".. cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte "
L'essere " immondo", col grido della sua fede, ha sollevato, per un poco, il velo che ancora copriva il " segreto messianico", il quale sarà rivelato solo più tardi, sul Calvario, quando, amore e dolore, uniti nella persona del Figlio di Dio, opereranno la trasformazione definitiva della condizione umana, e il male sarà vinto per sempre alla radice.
Tuttavia, se per Gesù non è ancora il momento della gloria, è sempre il momento della misericordia, della compassione e dell'amore, che egli insegnerà e testimonierà con le opere, che ci lascerà in eredità.

" In quel tempo", recita il Vangelo, un tempo cronologicamente lontano, ma storicamente vicino, se nelle nostre società ancora c'è spazio per emarginazioni, rifiuti, divisioni e condanne d'ogni genere, quasi che il Figlio di Dio fosse passato invano.
La sua mano tesa al lebbroso, il suo cuore commosso dalla miseria più angosciante, sono, ora, affidati a noi, che ancora ne teniamo viva la Presenza; ecco perché il Vangelo è anche un appello a guardarci dentro per ritrovare le energie migliori, la capacità di tenere aperte le mani e vigile il cuore, per accorciare distanze e risanare il dolore di quanti ci si fanno incontro, soprattutto gli ultimi.

Quasi sicuramente non ci verranno chiesti grandi gesti, sarebbe sufficiente assumere, come criterio ispiratore, le parole di Paolo che esorta ad agire: "...senza cercare l'utile proprio ma quello di molti, perché giungano alla salvezza...." ( 1 Cor.11,1)
E' un obiettivo alto, ma non impossibile; un traguardo esaltante, che impegna incessantemente, in un quotidiano fatto di riflessione interiore e di attenzione agli altri, a qualunque persona, da accogliere, da amare, da risanare; e anche questo è annuncio del Vangelo.




Sr Mariarita Pisano O.P.
Monastero Domenicano
SS.mo Rosario
Marino Laziale RM