Omelia (05-02-2006)
mons. Antonio Riboldi
La sofferenza: difficile, necessaria prova

Ci sono "passaggi" nella vita di ciascuno di noi, senza eccezioni, che diventano l'immagine di chi davvero siamo e cosa vagliamo, e sono i momenti della sofferenza, quella fisica, le malattie, o quelle ancora più acute, a volte, dell'anima, del cuore.
Non si sa bene se siano più atroci le sofferenze fisiche, che fanno desiderare a volte la stessa morte, o quelle dell'anima. Le sofferenze della passione e morte di Gesù, distrutto nel suo fisico, o quella del Getsemani, posto di fronte alla passione, che era la prova di quanto doveva pagare per amarci e ridarci un paradiso perduto: una sofferenza che Gli fa conoscere l'agonia dell'anima. Lo fa sudare sangue, il limite del dolore interno, fino a chiedere al Padre di risparmiarGli quella prova: "Padre, se è possibile, allontana da me questo calice, ma sia fatta la tua volontà". E un angelo gli porge il calice della necessaria passione. E fu quel grande "sì" di Gesù, che è il meraviglioso, impensabile, impossibile "sì" al nostro possibile Paradiso.
Così in Lui dolore e amore si sposano come i due bracci di quella croce su cui sarebbe stato appeso e su cui eravamo noi e saremmo stati per sempre, se non ci fosse salito Lui.
Così Giobbe, l'icona biblica del dolore dell'innocente, un dolore permesso da Dio per provare fede, fedeltà e amore del suo servo fedele. Giobbe così parlò: Non ha forse un duro lavoro l'uomo sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli del mercenario? Come lo schiavo sospira l'ombra e come il mercenario aspetta il suo salario, così a me sono toccati mesi di illusione e notti di dolore mi sono assegnate. Se mi corico dico: Quando mi alzerò? Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi fino all'alba. I miei giorni sono stati più veloci di una spola, sono finiti senza speranza. Ricordati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene" (Gb 7,1-7).
Ed alla moglie che diceva: "Hai ancora fede? Perché non bestemmi Dio e muori?" Giobbe rispose: "Tu parli da insensata. Noi abbiamo avuto da Dio le cose buone. Perché non dovremmo accettare le cose cattive? E nonostante tutto, Giobbe non pronunziò alcuna imprecazione" (3).
Credo che tutti, chi più, chi meno, abbiamo fatto esperienza di essere vicino a chi soffriva nel corpo. E di fronte alla nostra impotenza nel ridare la salute, ci si è come seccata la gola e non abbiamo avuto parole, ma la malattia dei nostri cari, la loro sofferenza è come passata nelle nostre carni, come fosse nostra, per amore. Fino a non capire più se soffriva di più chi era "sulla croce", come Giobbe o meglio come Gesù, o chi sta sotto, come Maria. "Vorrei stare al suo posto" ho sentito più volte...ma è già tanto partecipare così intensamente: è grande amore.
A volte tanta gente si chiede il perché Dio permette tante sofferenze e perché, se ci ama tanto, non interviene.
Bisognerebbe conoscere il grande mistero dell'amore, che il Padre ha per ciascuno di noi, per capire questi "passaggi duri" della nostra vita, che fanno parte del piano di salvezza e sono la prova della nostra fede. Lo capiremo quando saremo davanti a Lui.
Gesù ha mostrato compassione verso chi veniva portato a Lui per avere guarigioni. Si può dire che la sua vita pubblica sia come una continua dimostrazione di amore e partecipazione al nostro dolore, nelle tanti guarigioni, segno della sua divinità. Lo racconta il Vangelo di oggi:
"Gesù uscendo dalla sinagoga dove predicava si reca subito nella casa di Simone e Andrea in compagnia di Giovanni e di Giacomo. In casa vi era la suocera a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli accostatosi la prende per mano e la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli. A sera il luogo si riempie di ammalati ed indemoniati. Tutta la città era davanti alla porta.
Guarì molti... Al mattino si alzò quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto a pregare. Ma Simone e quelli che erano con Lui si misero sulle sue tracce e, trovatoLo, gli dissero: Tutti ti cercano. Ma Gesù disse: "Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto" (Mc 1,29-39).
Forse noi avremmo provato un atto di orgoglio nel sentire quella frase "tutti ti cercano"...sempre se a prenderci per mano è la nostra fama, più che l'amore e il bene delle persone. Gesù sapeva che i veri malati siamo tutti noi, che ci portiamo addosso la malattia del peccato, che tante volte è un inferno che viviamo, nascondendolo, perché non sappiamo o non vogliamo incontrare chi possa farci uscire. E da questa malattia dell'anima può solo liberarci la Grazia, ossia Dio. E Dio sta alla nostra porta per guarirci...ma o non Lo sappiamo o non Lo vogliamo.
La domanda che ci poniamo è questa: "E' più facile chiedere la guarigione del corpo o quella dell'anima? E' più forte il dolore del corpo, quando è malato, o quello del cuore quando in noi c'è il male?". Gesù oggi mostra tanta premura per chi soffre fisicamente, e facciamo bene a pregare per i nostri ammalati con insistenza e fede...rimettendoci poi alla volontà del Padre, che sa quello che fa. Questione di fede e di amore.
Ogni volta sono stato a Lourdes con ammalati, chiedevo mi si permettesse di guidare la processione eucaristica del pomeriggio. Impressionante quel viaggio con Gesù tra gli ammalati e con gli ammalati. Quando alla fine mi trovavo a tu per tu con gli ammalati in cerchio, con nelle mani il Santissimo Sacramento, mi si riempivano gli occhi di lacrime nel chiedere a Gesù una carezza, un conforto per quei fratelli...e se a Lui era gradito, anche la guarigione di chi a Lui sembrava meglio.
Quello che mi impressionava sempre era la grande serenità degli ammalati che, fissando Gesù Eucaristico, era come facessero esperienza di serenità nel dolore, come se la carezza di Cristo fosse scesa fino a fare più di una guarigione. E mi passavano per la mente i tanti, ma tanti santi, che chiedevano a Gesù di portare nella propria carne la sofferenza: in compagnia della Sua, per essere sempre più santi e rendere più santi noi. E mentre il sacerdote, che guidava la processione, pregava: "Signore, se tu vuoi, puoi guarirci", il mio pensiero correva all'amore di Gesù che in vari modi guarisce, realizzando negli ammalati quello che afferma S. Paolo "Soffrire è come completare quello che manca alla passione di Cristo".
E proprio lì capivo perfettamente come la sofferenza è la sorella dell'amore: inseparabili tutte e due: come Gesù sulla croce e Maria sotto la croce. Ma ancora più, come a capire il Vangelo di oggi, mi passavano per la mente le tante conversioni che avevo visto stando nei confessionali del Santuario. Lì veramente Dio faceva grandi prodigi. "Ora sì - mi diceva un fratello dopo la sua confessione- mi sento felice, vivo, più felice di quegli ammalati che sono qui!" Ed aveva ragione perché la guarigione dell'anima è una felicità più grande.
Ma un'ultima parola vorrei dirla a tutti noi che ora abbiamo la gioia di essere sani: dono grande di Dio. E se è dovere avere cura della nostra salute fisica - e morale – il grazie al Signore dobbiamo renderlo concreto non lasciando mai e poi mai i malati "soli". La solitudine a volte è più dolorosa della stessa malattia. Sono i nostri malati che hanno bisogno di compagnia e non i sani. "Ero malato e siete venuti a trovarmi...venite benedetti del Padre mio". Stare vicino a chi soffre è la prova del nostro amore. Come Maria sotto la croce del Figlio. E qui va un grazie di cuore a quanti sono volontari nella assistenza agli infermi in casa o negli ospedali. Non so quanti dei miei lettori fanno parte dell'A.V.O. (Associazione volontari ospedalieri), nata dalla felice intuizione di un mio grande amico medico, quando mamma era in ospedale.
Oggi sono in tantissimi ospedali, e sono come angeli preziosi del dolore. Grazie di cuore. Verrà un giorno in cui anche noi avremo bisogno di questi "angeli di conforto": per ora, se siamo sani, imitiamo Gesù nel confortare chi soffre, qualunque sia la sofferenza.
Offro questa preghiera di Madre Teresa per tutti gli ammalati:
"Gesù sofferente, fa' che ogni giorno possa vedere nella persona dei malati Te, e che possa servirTi prendendomi cura di loro. Fa' che ti riconosca nella ripugnante maschera dell'ira, del crimine e della follia, e possa dire: "Gesù mio sofferente, come è immensamente bello servirti! Signore, dammi questa fede, allora il mio compito mi sembrerà meno pesante. Sarà per me una gioia accettare ed esaudire i desideri di tutti i miseri sofferenti.
Caro malato, quanto mi sei diletto, perché tu sei l'immagine del Cristo: ed è un onore per me potermi occupare di te!"