Omelia (09-06-2024) |
don Alberto Brignoli |
Ordinarie storie di follia e di amore Terminate le tre grandi Solennità del Signore, che ci hanno aiutato a entrare nel cuore stesso di Dio, il cui amore trinitario si fa cibo e bevanda di vita per chi crede in lui, e misericordia per chi lo accoglie nella propria vita, le nostre domeniche riassumono il colore verde della speranza, che ci accompagnerà lungo tutto il Tempo Ordinario, ossia nell'ordinarietà del nostro cammino di fede, celebrato la domenica in comunità e vissuto nel nostro lavoro quotidiano, nelle nostre quotidiane passioni, nei nostri quotidiani desideri, e ovviamente anche nelle nostre quotidiane povertà, nella quotidiana fatica di incontrare Dio e di vedere i segni della sua presenza nella nostra vita di ogni giorno. E anche se spesso invochiamo e desideriamo un po' di quotidianità e di normalità nella vita di fede, questa ordinarietà non è certo un cammino facile. Anzi, si presenta pieno di insidie. Quando, infatti, viviamo celebrazioni particolari e solenni come quelle che abbiamo vissuto nelle scorse domeniche, oppure durante i tempi forti della Quaresima e della Pasqua, o - ancora - nella celebrazione dei Sacramenti dell'Iniziazione Cristiana di fanciulli e ragazzi (Comunioni e Cresime) che si tengono in questo periodo dell'anno nella stragrande maggioranza delle nostre comunità, la possibilità di sentire il Signore presente, di incontrarlo e di vederlo vicino a noi, si fa senz'altro più concreta, si avverte un maggior entusiasmo nella comunità che celebra il Risorto, nell'onore tributato al Santissimo Sacramento, nel sorriso dei bambini felici dopo aver ricevuto la Prima Comunione, e via di seguito. Poi, però, l'ordinarietà - che a volte erroneamente noi identifichiamo con piattezza, con poco fervore, o addirittura con mancanza di fede nella Chiesa solo perché i riti sono un po' meno solenni - ci trascina in un senso di noia a volte nostalgica che alla fine sfocia in domande e interrogativi che noi rivolgiamo a questo Dio "nascosto"; e uno di questi interrogativi è presente - sia pur formulato in maniera inversa - anche nella Liturgia della Parola di oggi: "Dove sei?". Noi, Signore, ce lo chiediamo spesso "dove sei". Dove sei, se fino a poche settimane fa eri nel sorriso agitato e meraviglioso dei nostri bambini della Prima Comunione, e ora siamo quasi costretti a incrociarti negli sguardi stanchi e affaticati dei pochi anziani che ancora frequentano quotidianamente le nostre chiese? Dove sei, se guardandoti presente nell'Eucarestia durante le Giornate Eucaristiche ci hai fatto sentire una pace e un calore interiore che poi ti sei affrettato a smorzare con una serie di diluvi che ci impediscono di fare una bella processione per la quale avevamo parato così bene le nostre vie? Dove sei, adesso che, passate le feste, sentiamo un senso di noia e di stanchezza e a tutto pensiamo (vacanze, sole, estate, mare) meno che a te? Dove sei, se le notizie che leggiamo sui giornali di ogni giorno o le immagini che vediamo quotidianamente in televisione o sui social, di tutto ci parlano meno che di quella gioia, di quella pace e di quella vita che tu ci hai fatto credere di essere? Dove sei, quando ti preghiamo invocando la guarigione di una persona cara che tu, invece, quasi ti diverti a strappare dalle nostre vite? Sembra proprio che le forze del male, nella vita di ogni giorno, abbiano il sopravvento su di noi, e magari senza che Dio faccia nulla per risparmiarci tante sofferenze. E la cosa viene da molto lontano, come abbiamo ascoltato nella lettura di Genesi. Ma del resto, che il male avesse invaso la vita dell'uomo lo dicevano anche di te, Signore - l'abbiamo ascoltato nel vangelo di oggi - e vuoi che non lo dicano di noi? Anche i tuoi parenti, preoccupati per ciò che dicevano di te, vengono a dirti il loro "Dove sei?", ti vengono a cercare, addirittura ti vogliono portare via perché credono che tu non ci stia più con la testa. Oppure c'è chi, come gli scribi, vuole farti prigioniero, così come spesso vorremmo "catturarti" anche noi, nel momento in cui ti troviamo, perché almeno così te ne resti con noi zitto zitto buono buono, e non ci metti più in crisi. Sì, perché tu ci metti effettivamente in crisi, quando quella stessa domanda la rivolgi a ognuno di noi, e non da oggi, ma da sempre, da che mondo è mondo: "Uomo, donna, dove sei?". Quel "dove sei" rivolto da Adamo a Dio pesa infinitamente di più di tutti i "dove sei" che noi rivolgiamo a Dio, quando gli rinfacciamo di non esserci più, di sparire dalla nostra vita, di giocare a nascondino con noi. Perché in fondo, Dio non vuole che scappiamo da lui per la vergogna di essere nudi alla sua vista: del resto, ci ha creati lui, volete che non sappia come siamo fatti? Dio non vuole che noi non pecchiamo: sa benissimo che ci risulta impossibile. Dio non ci vuole perfetti: sa benissimo che non ne siamo capaci. Dio non ci vuole irreprensibili o immacolati, e nemmeno liberi da tentazioni: sa benissimo che la nostra è la stirpe del "calcagno insidiato", del serpente avvolto alle nostre caviglie, sempre vivo, sempre con le fauci aperte, pronto a morderci in ogni istante. Dio non ci vuole impeccabili: ci vuole felici, e per questo vuole che al male schiacciamo la testa, che al male - in tutte le sue forme - impediamo di avere il sopravvento su di noi. Ma per fare questo, dobbiamo avere il coraggio di guardare il male dritto negli occhi, dobbiamo affrontarlo come Dio lo affronta, a viso aperto, prendendoci le nostre responsabilità, ammettendo che sì, è vero, siamo peccatori, ma ciò non toglie nulla al suo amore per noi, anzi! L'importante è avere il coraggio di rispondere noi, per primi, a quella domanda che invece abbiamo la sfrontatezza di rivolgere a lui: "Dove sei?". Non abbiamo paura di dire a Dio la verità: "Guarda, mi sono nascosto da te perché ho fatto una fesseria, ho sbagliato". Non abbiamo paura di dire a Dio: "Sono stato io", invece di dare la colpa a chi ci è a fianco, o a chi ci inganna, o al sistema, o ai cattivi di turno o, peggio ancora, a Dio stesso, che fa lo sbaglio di mettere al nostro fianco le persone sbagliate! Se avremo il coraggio, di fronte al "Dove sei?" di Dio, di rispondere: "Sono qui, ho sbagliato", saremo in grado anche di ascoltare la sua risposta ai nostri innumerevoli "Dove sei, Dio?". E la sua risposta è semplice: "Sono qui, non me non sono mai andato. Perché anche se tu pensi che io mi sia nascosto, o che io sia andato fuori di testa e mi sia dimenticato di te, tu per me sarai sempre fratello, sorella, madre. Perché io ti amo". |