Omelia (16-06-2024)
don Giacomo Falco Brini
Lascia che Dio si spieghi

Il vangelo della liturgia di oggi ci presenta indiscutibilmente, quale protagonista assoluto che si cela dietro le due parabole, Gesù stesso con la sua Parola. Infatti, che cos'è il Regno di Dio? Non è altro che la persona di Cristo Gesù in tutto quello che dice e che fa. Il minimo comun denominatore che unisce le due parabole è metaforicamente il seme. Gesù invita ad osservare e considerare la realtà del seme per parlare della forza inarrestabile che la sua Parola ha in sé stessa e del fruttuoso successo che produce laddove è seminata, malgrado debba dapprima sperimentare grandi difficoltà e insuccesso. Qual è l'intento del Signore nell'istruire noi suoi discepoli con queste due parabole? Insomma, qual è la "ratio" di questo insegnamento, visto che, con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere e senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa? (Mc 4,33).
Innanzitutto spiegarci che questo Regno ha le caratteristiche proprie della piccolezza, realtà invece bistrattata dallo spirito e dalle logiche del mondo. Se infatti leggiamo i vangeli attentamente, ci accorgeremo che tutto ciò che è piccolo ha una valenza importantissima davanti a Dio. C'è poi da sottolineare che nella seconda parabola si dice che il Regno di Dio è superlativamente piccolo: è paragonato al seme di senapa che nella sua semina e crescita è destinato però a diventare l'ortaggio più grande. Come dire che le cose di Dio inizialmente hanno sempre una scarsissima valenza e audience, per poi imporsi, nel tempo, all'attenzione di tutti, anche se non si cercasse alcuna visibilità. Questo il senso del fatto che fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra (Mc 4,32). Gli uccelli non fanno parte del regno vegetale, eppure si trovano a proprio agio su questa pianta cresciuta alla sua statura. Da notare nella prima parabola l'umiltà e la modestia del seme nella descrizione che Gesù ne fa. Queste qualità evangeliche sono fondamentali per capire come procedono le opere di Dio. Sono qualità che permettono di lasciare il Mistero di Dio rivelarsi nei modi e nei tempi che Egli stesso sa.
Con queste due parabole, Gesù invita i suoi discepoli a guardare alla natura come un libro da leggere/meditare per scoprire come sul piano spirituale avanzano le cose di Dio nella storia. Cioè, il Regno di Dio non è qualcosa che non abbia a che fare con la natura. È qualcosa di superiore ad essa, ma generalmente la rispetta. "La grazia suppone la natura", diceva il grande San Tommaso D'Acquino. Il Signore ci istruisce a partire dalle lezioni più semplici rinvenibili nella natura creata. In questa prospettiva ci sarebbe da meditare per un anno intero sulle parabole di Gesù che richiamano un rapporto con la natura, in un tempo storico particolarmente segnato dalla mancanza di rispetto verso di essa. Diceva un sacerdote missionario conosciuto alcuni anni fa che quando l'uomo scopre e trova qualcosa in natura generalmente non pensa mai che Qualcuno ce l'abbia messo. Dice subito: l'ho scoperto io dunque è mio. Ecco allora che il vangelo ci invita a ribaltare questo modo di pensare ed agire, se vogliamo che il Regno di Dio cresca e avanzi nella storia.
Se ci si incammina a lasciarsi trasformare nella nostra mente dal vangelo, allora scopriremo un altro insegnamento nascosto nelle due parabole: qualsiasi crisi di fiducia/difficoltà giunga sul nostro cammino costituisce un appello ad avere fiducia nella potenza di Dio nascosta nel seme della sua Parola, non nella potenza umana delle nostre azioni. Le due parabole mettono in luce che il seme, per diventare ciò che è in potenza, deve affrontare dei passaggi. Sono i nostri momenti di crisi, le fasi della nostra vita umana e di fede con le sue imprevedibili difficoltà e fatiche. Ma la vita che sprigiona il seme ha una forza più grande delle forze avverse: la Parola di Dio è, nella sua debolezza, più forte di qualsiasi potenza, e se accettiamo questa verità giungeremo a scoprirla dentro di noi come una stupenda energia che ci muove e ci rinnova facendoci attraversare ogni situazione avversa.
Un'ultima annotazione, conseguenza delle precedenti considerazioni. Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa (Mc 4,27). C'è una qualità del Regno da accogliere che mette il discepolo nella giusta disposizione a collaborare per la sua crescita. Il Regno di Dio non è altro che la vita così più grande di come e quanto noi possiamo immaginarla, che è bene accoglierlo in una sana insipienza di fede. Possiamo e dobbiamo restare tranquilli e sicuri sul fatto che il Regno di Dio avanzi noi malgrado. Il seme produrrà a suo tempo il frutto, dunque, come dice il simpatico motto che si trova oggi qua e là in tanti "gadget" o magliette: "keep calm", tanto il Regno è di Dio, non è dell'uomo. L'uomo può entrarci, questo sì, ma solo se accetta di fare il suo primo passo nella fede. La sapienza di Dio viene sull'uomo che accetta la sua insipienza sulle cose di Dio. Prima si crede, si dà fiducia a Dio, poi lo si capisce perché lui si spiega.