Omelia (05-02-2006) |
padre Antonio Rungi |
Guarire le sofferenze umane La Parola di Dio di questa quinta domenica del tempo ordinario ci presenta Gesù alle prese con la sofferenza ed il dolore umano, nei confronti dei quali si mostra sensibile ed interviene con le sue uniche e straordinarie possibilità per sollevarli. La guarigione della suocera di Pietro, ma anche di tanti altri malati che si presentavano a Lui, ci conferma questa speciale attenzione di Gesù nei confronti della sofferenza umana. Il testo del Vangelo di Marco che leggiamo oggi ci presenta appunto Gesù Cristo che passa di villaggio in villaggio non solo per predicare, ma anche per guarire. Segno evidente che evangelizzazione e promozione umana camminano insieme nel progetto messianico e ad esse bisogna ispirarsi anche oggi. Non solo annuncio, catechesi e prediche, ma azione, condivisione, prendersi cura delle afflizioni degli altri e nei limiti delle possibilità di ciascuno dare il nostro contributo per risollevare dalla miseria materiale, morale e spirituale e dai dolori di ogni genere qualsiasi fratello. E ciò senza fare distinzione di razza, colore di pelle, cultura e religione. La carità non ha barriere e l'amore verso i fratelli non guarda la tessera di appartenenza. Ecco il testo che leggiamo oggi e che ci fa riflettere sullo stile di Cristo per venire incontro ai bisogni delle persone che soffrono: "In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, si recò in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni; ma non permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e, trovatolo, gli dissero: "Tutti ti cercano!". Egli disse loro: "Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!". E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni". Il testo del Vangelo mette in evidenza il fatto che tutti cercavano Gesù. Sicuramente il contesto ci fa pensare ad una ricerca mirata e per motivi ben precisi: quelli della guarigione fisica. Gesù non viene meno a queste richieste, anche se chiede in cambio una risposta di fede. Ad ogni guarigione infatti, quando tutto è completato, dice infatti "la tua fede ti ha salvato". La fede fa miracoli anche nelle guarigioni che chiediamo per noi e per gli altri, specie oggi di fronte a mali terribili ed incurabili, che fanno soffrire in modo tremendo, bambini, giovani, adulti ed anziani o più semplicemente persone innocenti. Il mistero del dolore si comprende alla luce del mistero della Croce di Gesù. Lo ricordiamo nella preghiera iniziale di questa eucaristia domenicale: "O Dio, che nel tuo amore di Padre ti accosti alla sofferenza di tutti gli uomini e li unisci alla Pasqua del tuo Figlio, rendici puri e forti nelle prove, perché sull'esempio di Cristo impariamo a condividere con i fratelli il mistero del dolore, illuminati dalla speranza che ci salva". Esempio di vita in questo senso è anche la figura di Giobbe, di cui leggiamo un brano nella liturgia della Parola di questa domenica. Il suo pensare e sentire lo troviamo sintetizzato in questo testo: "Non ha forse un duro lavoro l'uomo sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli d'un mercenario? Come lo schiavo sospira l'ombra e come il mercenario aspetta il suo salario, così a me son toccati mesi d'illusione e notti di dolore mi sono state assegnate. Se mi corico dico: Quando mi alzerò? Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi fino all'alba. I miei giorni sono stati più veloci d'una spola, sono finiti senza speranza. Ricordati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene". Esempio di sopportazione nella prova e modello di santa pazienza, tanto da essere preso ad esempio nell'esercizio di questa virtù umana e cristiana, Giobbe ci rammenta la necessità di guardare la sofferenza e la prova nell'orizzonte dell'eternità. Anche le più grandi pene termineranno, perché la morte solleverà dal dolore ogni essere vivente. Quelle notti di dolore che toccarono a Giobbe, toccano tante volte anche a noi. Notti insonni per problemi fisici, morali, interiori. Ma ogni notte prepara al nuovo giorno. E così con la speranza nel cuore che il domani sarà migliore si accetta con coraggio ogni prova della vita. Il Vangelo della speranza ci deve illuminare e guidare non solo come possibilità individuale di dare senso al nostro patire e soffrire, ma anche per incoraggiare gli altri a vivere in questo atteggiamento interiore e spirituale, che non li fa abbattere. Messaggeri anche noi, soprattutto oggi, di una buona notizia che attinge il suo contenuto essenziale e la sua forza trainante in Gesù Cristo, come scrive l'Apostolo Paolo nel brano della Lettera ai Corinzi che ascoltiamo oggi: "Fratelli, non è per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di predicare gratuitamente il Vangelo senza usare del diritto conferitomi dal Vangelo. Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro". Chiaro l'appello e l'invito di essere annunciatori credibili e generosi del Vangelo, senza attendersi alcuna ricompensa. Un annuncio che passa attraverso la testimonianza, come sottolinea l'Apostolo quando scrive: "Mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno". Questa ansia missionaria per diffondere il Vangelo nel mondo dovrebbe prendere la mente ed il cuore di tanti che hanno scelto di seguire Cristo più da vicino, ma anche tutti i fedeli laici, che con il Battesimo si sono assunti pure il compito di essere profeti della speranza e della gioia di vivere, della solidarietà e della carità nel tempo in cui si vive. La diaconia dell'amore e del servizio ai poveri sia un impegno concreto di quanti si professano cristiani in ogni angolo della Terra, anche tra le zone più sperdute del Pianeta. |