Omelia (23-06-2024)
don Giacomo Falco Brini
Il coraggio di avere paura

Secondo Marco evangelista, il giorno stesso in cui diede una lezione parabolica sul Regno dei Cieli in terra, lezione che serviva a istruire i discepoli su parecchie cose della fede, Gesù ordina di passare all'altra riva (Mc 4,35). Dunque da questo comando veniamo a sapere che Egli si trovava con i suoi e con la folla in riva al mare di Galilea. Dopo aver letto per l'ennesima volta il celebre episodio della tempesta che si scatena sul lago di Tiberiade, e rammentando le parole di Gesù di domenica scorsa, mi verrebbe subito da aggiungere il famoso detto quale glossa all'intero episodio: tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. Cioè: il Signore ci spiega le parabole per farci comprendere le cose del suo Regno e a livello intellettivo questo può essere abbastanza facile se Egli ci trova aperti nel cuore. Ma quando arrivano imprevisti che ci fanno toccare da vicino il limite, la nostra radicale insicurezza, l'oscurità delle forze della natura, la solitudine esistenziale, la prossimità della morte, cosa si solleva nel profondo del nostro cuore? La fede in Dio o il mistero della paura che ci abita?
Io amo il mare per tanti motivi. Uno su tutti: ho vissuto quasi sempre in località marine o molto vicine al mare. Eppure il mare nella Bibbia simboleggia spesso la morte. Basti pensare solamente all'evento principale che fonda la salvezza degli israeliti: un popolo in esodo che viene ad attraversare miracolosamente il mare, quello stesso mare in cui gli inseguitori egiziani invece trovano la morte. Mi sembra che il testo del vangelo ha due estremi che fanno per così dire "da cornice" all'intero episodio. Individuare la cornice appropriata per un'opera d'arte è importante per poter coglierne la bellezza e il messaggio. Il primo estremo è al v.36 quando si dice: e congedata la folla lo presero con sé così com'era nella barca. L'altro estremo è alla fine del vangelo, al v.41:...e si domandavano l'un l'altro "chi è dunque costui, che anche il vento e il mare obbediscono?". In mezzo c'è la nota, spaventosa vicenda della tempesta che mette i discepoli in uno stato di angoscia tale da gridare verso il Maestro la loro imminente perdizione mentre, clamorosamente, Egli dorme a poppa tranquillo e sereno come se nulla stesse accadendo (Mc 4,37-38). Poi il Signore viene svegliato dalle grida dei suoi, e sempre come se fosse la cosa più semplice e facile di questo mondo cosa fa? Sgrida il vento e ordina al mare di darsi una calmata. E il bello è che tutti e due obbediscono all'istante (Mc 4,39), come due cagnolini addomesticati alla perfezione.
Gesù prende allora la parola e dice loro (e a noi lettori che tante volte possiamo incorrere in vicende simili a questa): perché avete paura? Non avete ancora fede? (Mc 4,40). E qui dobbiamo davvero sostare. Dovremmo anche farlo a lungo su queste interrogazioni retoriche, ma papa Francesco giustamente mi ha detto di rimanere entro gli 8 minuti di commento. Già, perché abbiamo paura? Quanti motivi abbiamo per avere paura? Da dove viene la paura? Chi l'ha insediata nel nostro cuore? Tutti potremmo dare le nostre risposte, ma il vangelo ce ne dà una che le riassume tutte, se davvero consideriamo attentamente i versetti che fanno da cornice al testo. Quel lo presero con sé, così com'era suggerisce il fatto che nella nostra vita i discepoli e noi accogliamo in barca Gesù così come ci sembra di conoscerlo. Ma il versetto finale che vede i discepoli domandarsi l'un l'altro chi è dunque costui? - suggerisce l'esatto contrario, cioè che dalle tempeste che ci capitano scopriamo di non conoscere ancora affatto chi portiamo nella nostra barca. Che significa?
La radice di tutte le paure o la madre di tutte le paure, se così mi posso esprimere, è l'eredità di Adamo ed Eva. La paura ci abita perché il nemico, con il peccato, ci ha fatto smarrire il vero volto di Dio. Il serpente antico ha inoculato nel nostro cuore un'immagine errata, cioè una identità falsa di Dio. Come prodotto di questa alterazione originaria della nostra relazione con il Signore, nasce la paura. E vivere nella paura non è un bel vivere. Ma appunto per questo il Signore ci rivolge questa domanda e ne aggiunge un'altra per far capire che si può vivere diversamente: non avete ancora fede? Gesù è il vero volto di Dio che è venuto ad accendere il fuoco della fede, vero ed unico antidoto alla paura antica e alle paure nuove. Con Gesù noi possiamo ristabilire con Dio una relazione nuova, basata sulla fiducia. Egli che domina sulle forze della natura, comanda anche la morte. Ma per sperimentare e scoprire che davvero Gesù è il Dio che ci salva dalla morte e da tutte le nostre angosce, dobbiamo avere il coraggio di scendere nel mondo delle nostre paure più profonde. Sì, bisogna trovare il coraggio di avere paura. Solo così avvertiamo il bisogno di salvezza e facciamo la cosa più importante per imparare a vivere di fede: gridare al Signore. Allora e solo allora, come i discepoli della prima ora, iniziamo a scoprire che Gesù è veramente il Dio con noi.