Omelia (23-06-2024)
padre Gian Franco Scarpitta
Fra il dire e il fare... c'è Gesù

Si dice che fra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. In queste pagine liturgiche il mare, o meglio il lago di Tiberiade fa da intermediario fra Dio e l'uomo in Gesù. L'acqua fa la parte del leone in questa liturgia, come del resto in tanti altri passi della Bibbia in cui si riscontra che questa sia elemento di vita e di salvezza. Anche quando il prezioso liquido sommerge e distrugge, ciò avviene con la finalità di rinnovare, ricreare o far rinascere a nuova vita.
Di acqua si parla in tutti i casi come luogo in cui deve sorgere la vita. Il mare nella Bibbia viene identificato anche con "le grandi acque" e ricorda il diluvio e altri luoghi in cui Dio esercita il suo potere sui flutti marini.
E' proprio sulla riva del mare o lago di Tiberiade che Gesù parla a una moltitudine di folla accorsa ad ascoltarlo e la ressa che gli fa è su ogni lato è tanta e tale che non gli è possibile farsi ascoltare parlando dalla spiaggia o dalla battigia, ma deve per forza salire su una barca, scostarsi alquanto da riva e arringare la gente dall'imbarcazione per mezzo di parabole e di allusioni al Regno dei Cieli (Mc 4, 1). Se il monte è il luogo della comunicazione fra Dio e l'uomo, anche il mare non è da meno; anzi esso è il luogo, o meglio la dimensione, nella quale la Parola stessa che è Gesù Verbo incarnato incide nella vita dell'uomo, lo trasforma, lo rinnova, lo fa riemergere e gli comunica la verità e la vita. Anche per questo, appena terminati i suoi discorsi al popolo a cui si era rivolto, invita i suoi discepoli a "passare all'altra riva, evidentemente per raggiungere un'altra turba di gente a cui rivolgere la Parola.
E' sorprendente che improvvisamente infuri una tempesta travolgente al punto che le onde quasi inghiottiscano la barca e la facciano sballottare, con il risultato che i suoi navigatori si reggano appena in piedi barcollando. Ancora più sorprendente che Gesù, stravaccato a poppa, riposi tranquillamente nonostante quell'inaudito disordine. Probabilmente l'evento e il sonno di Gesù sono ambedue "voluti", cioè non casuali, ma finalizzati a comprovare o a consolidare la fede dei suoi discepoli anche quando le acque diventino minacciose e insostenibili. Il lago di acqua dolce un po' più profondo del Mar Morto (così è descritto dalla topografia) diventa luogo di incontro di Dio, presente nella Persona del Figlio, con l'umanità tribolata e vessata dalle "tempeste" dell'ordinarietà. Il luogo in cui l'uomo è chiamato ad aver fiducia, ad affidarsi a Dio nel vortice delle confusioni e delle difficoltà. Dio dal canto suo può apparire "dormente" e distaccato, apatico e indifferente nei confronti della sofferenza umana, lontano e assente mentre percorriamo la nostra storia di orrori, di violenze, pseudo valori e oltraggi ai danni dei più deboli. Ci si domanda: "dov'è Dio?" mentre si lotta contro le aberrazioni dell'ingiustizia umana e le sopraffazioni dei grandi a danno dei più piccoli. La domanda potrebbe suonare nella forma differente: "Che Dio vogliamo?"
In situazioni sconcertanti come quelle sopra citate, ci aspetteremmo un Dio giustiziere, dirompente e coercitivo, atto a imporsi e a sottomettere, ma Gesù in antitesi alle nostre aspettative ci ha indicato un Dio Crocifisso, che sconfessa sia coloro che vogliono trovarlo nei prodigi di grande levatura quali i miracoli e le apparizioni, sia quanti pretendono di incontrarlo nell'astrattismo delle speculazioni e delle digressioni scientifiche. Dio parla da una croce e fa propria la cattiva esperienza degli uomini, dice un passo de "I fratelli Karamazov". Non è il vendicativo o il tiranno dominatore, anche se in lui non si può negare la giustizia e l'equità. E' il Dio che rinnova i suoi patimenti nelle sofferenze umane. Ancor prima della croce, tuttavia, Gesù ci dimostra che Dio è presente anche quando non abbiamo il vento in poppa e tutte le volte che avvertiamo il senso dell'abbandono da parte sua. Scoramenti e negatività, disperazione, sconforto... ci orientano verso la conclusione di un Dio assente o lontano; ma Gesù ci ragguaglia che in realtà la sua presenza, seppure silente e misteriosa è indubbia e proprio le tempeste le contrarietà ci invitano a scorgerla. "Non t'importa che moriamo?" Gli domandano i suoi discepoli in atto di rimprovero. E lui, che sin dai primordi della creazione, assieme al Padre e allo Spirito Santo si è sempre mostrato al di sopra del cosmo e degli elementi naturali, lui che come Dio aveva fissato i confini delle acque e degli oceani (1 Lettura), placa la tempesta con poche battute e poi rimprovera ai suoi la carenza di fede e di adesione: "Perché avete poca fede?" Stessa cosa aveva detto a Pietro, quella volta in cui questi lo aveva visto camminare sulle onde e per accertarsi che fosse proprio lui aveva anch'egli camminato sui flutti marini: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?" Perché hai messo in discussione la mia Parola proprio qui sul mare, elemento caratterizzante l'imprevisto, il pericolo, la lotta oltre che la bellezza e il ristoro da vacanziere?
Nelle tempeste della vita Gesù è con noi, non ci lascia mai soli e non ci abbandona e specialmente in quanto crocifisso condivide nostro patire con il suo. Con lui possiamo però superare la prova della croce perché essa è destinata a tramutarsi in gloria; possiamo padroneggiare le emozioni e gli assilli nelle tempesto sconvolgenti del vissuto quotidiano. Gesù certo non promette magismo o inappropriate panacee e neppure paradisi immediatamente tangibili. Occorre sempre vivere realisticamente e con disincanto la nostra storia, impegnandoci nella costruzione e nella crescita del Regno in una società avversa e ostile. Gesù è però sempre con noi "tutti i giorni, fino alla fine del mondo" e opera in noi e per mezzo di noi come il Crocifisso che è però Risorto.
Occorre appunto ravvivare la fiamma della fede e della speranza, che rischia di spegnersi quando non la si alimenta soprattutto con la preghiera e il ricorso alla Parola e ai Sacramenti. L'orazione è la risorsa più immediata contro il dubbio e la perplessità, che non devono prevalere sulla fiducia e sull'abbandono in Dio. La preghiera e la spiritualità incrementano la fede e l'apertura in un Dio