Omelia (27-06-2024)
Missionari della Via


«Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli». Queste parole del Signore ci portano ad interrogarci seriamente sul nostro essere cristiani. Può capitare, e non di rado, di pregare con regolarità il Rosario, di fare novene, di partecipare alla S. Messa, di fare piccoli o grandi sacrifici ma poi, quando la Parola ci interroga sul nostro agire nei confronti degli altri, di essere trovati mancanti e negligenti. Ad esempio: quante volte continuiamo ad essere maldicenti senza far nulla per cambiare o per riparare alla maldicenza fatta? Invito le persone che hanno sparlato a rimediare, chiedendo perdono per ciò che ho detto, invitandoli a non farlo più? Niente di tutto questo. Sì, magari ci si confessa e si chiede perdono a Dio, ma per quanto riguarda il saper chiedere perdono agli altri per il proprio cattivo esempio, non se ne parla nemmeno. Possiamo anche avercela con qualcuno ma poi non vogliamo fare a priori nessun tentativo di riconciliazione, di chiarimento... però diciamo: "Signore, Signore!". Oppure, possiamo avere tanto di più nelle nostre dispense, nei nostri armadi, nei nostri conti in banca ma poi abbiamo grosse difficoltà ad aiutare qualcuno, mentre preghiamo (giustamente) per la pace e per la fame del mondo, perché altri la perseguano! Mettiamoci allora con cuore sincero davanti alla Parola del Signore e, oltre a farci consolare, accarezzare, guarire, lasciamoci anche trafiggere, correggere, operare, perché un giorno il Signore ci possa dire: "venite amici prendete parte alla mia gioia, partecipate al banchetto che io ho preparato per voi!"

«Dio si è servito della parola per comunicarci la vita e rivelarci la verità. Noi esseri umani usiamo spesso la parola per dare la morte e nascondere la verità! Nella introduzione al suo famoso Dizionario delle opere e dei personaggi, Valentino Bompiani racconta questo episodio. Nel luglio 1938 si tenne a Berlino il congresso internazionale degli editori a cui partecipò anche lui. La guerra era già nell'aria e il governo nazista si mostrava maestro nel manipolare le parole a fini di propaganda. Il penultimo giorno, Goebbels che era il ministro della propaganda del Terzo Reich, invitò i congressisti nell'aula del parlamento. Ai delegati dei vari paesi fu chiesta una parola di saluto. Quando venne il turno di un editore svedese, questi salì sul podio e con voce grave pronunciò queste parole: "Signore Iddio, devo fare un discorso in tedesco. Non ho un vocabolario né una grammatica e sono un pover'uomo sperduto nel genere dei nomi. Non so se l'amicizia è femminile e l'odio maschile, o se l'onore, la lealtà, la pace sono neutri. Allora, Signore Iddio, riprenditi le parole e lasciaci la nostra umanità. Forse riusciremo a comprenderci e a salvarci". Ci fu un applauso scrosciante, mentre Goebbels, che aveva capito l'allusione, usciva adirato dalla sala. Un imperatore cinese, interrogato su quale fosse la cosa più urgente da fare per migliorare il mondo, rispose senza esitare: riformare le parole! Intendeva dire: ridare alle parole il loro vero significato. Aveva ragione. Ci sono parole che, a poco a poco, sono state svuotate completamente del loro significato originario e riempite di un significato diametralmente opposto. Il loro uso non può che risultare micidiale. È come mettere su una bottiglia di arsenico l'etichetta "digestivo effervescente": qualcuno ne resterà avvelenato. Gli stati si sono dati leggi severissime contro quelli che falsificano le banconote, ma nessuna contro quelli che falsificano le parole. A nessuna parola è successo quello che è successo alla povera parola amore. Un uomo violenta una donna e si scusa dicendo che l'ha fatto per amore. L'espressione "fare l'amore" spesso sta per il più volgare atto di egoismo, in cui ognuno pensa alla sua soddisfazione, ignorando completamente l'altro e riducendolo a semplice oggetto. La riflessione sulla parola di Dio ci può aiutare, come si vede, anche a riformare e riscattare dalla vanità la parola degli uomini» (p. Raniero Cantalamessa).