Omelia (30-06-2024)
padre Gian Franco Scarpitta
Dalla riva del lago all' entroterra, vittoria sulla morte e sul dolore

Mentre Gesù con i suoi discepoli si spostava verso l'altra riva del lago di Tiberiade a bordo di una barca, la scorsa Domenica l'episodio della tempesta sedata ci ragguagliava della presenza certa e indiscutibile di Gesù nella nostra vita, anche quando Questi ci sembri "dormiente", ossia assente e distaccato da tutto quello che ci riguarda. Gesù c'è, come il Crocifisso che condivide patemi e ansie e come il Risorto fautore delle nostre gioie.
Adesso che la barca è giunta all'altra riva del lago e un atro considerevole nugolo di gente è riversa lungo la spiaggia ad attenderlo e lui deve camminare inizialmente lungo la riva del mare, impariamo che nella sua vicinanza all'uomo Gesù si qualifica come vincitore e dominatore del dolore e della morte. Ciò avviene nella consuetudine dei percorsi regolari di Gesù. Man mano che incontra la folla, si sofferma con le persone che gli fanno ressa e lo stringono da ogni parte, impartisce esortazioni, insegnamenti, parole cariche di sapienza divina e per ciò stesso di umanità, accompagnate dalla consistenza dei fatti concreti perché la Parola divina opera mentre pronuncia. Eventi e parole sono reciprocamente congiunti per un commento reciproco armonioso.
Questa volta però Gesù deve per forza spostarsi dalla spiaggia fino all'entroterra e non parlare a bordo di una barca poco distante da riva: il capo della sinagoga, persona quindi autorevole ed eminente, viene a presentargli il caso disperato della figlia dodicenne in preda a un male incurabile che la sta consegnando alla morte. Portandosi al suo seguito la turba di popolo ora anche incuriosita di quello che potrebbe succedere, Gesù non esita ad andare nella casa di questo illustre personaggio, ma strada facendo si accorge di qualcosa di anomalo: una "forza" è appena uscita da lui.
Non si sa a cosa si riferisse questo termine che indica una certa emanazione dalla persona di Gesù, ma possiamo concludere senza rischi di errore che Gesù si interroghi non tanto su chi lo abbia "toccato" e chi abbia provocato la fuoriuscita di questa forza, ma su chi, senza neppure guardarlo de visu, abbia mostrato fede e apertura incondizionata nei suoi confronti, tanto da meritare un intervento miracoloso. Chi ha creduto in me? Chi ha fatto in modo che da me uscisse la potenza divina con cui il mondo è stato creato, con la quale si cacciano i demoni, i morti vengono richiamati dalla vita, i lebbrosi sanati, gli storpi recuperano il cammino e i non vedenti la vista? Qualcuno deve aver avuto una fede così potente da meritare una speciale grazia divina anche senza il mio diretto intervento. E così infatti si è realizzato. Una donna, gravata da un malessere che da tanti anni la opprimeva e la costringeva anche all'isolamento per impurità, ha toccato il mantello di Gesù, convita che bastasse anche solo questo semplice atto a ottenerle la guarigione.
La donna, sconvolta e mortificata perché impressionata di aver compiuto un atto clandestino, appena ottenuta la guarigione dal suo malessere, anziché gridare e saltare di gioia rinnova la sua grande fede e deferenza gettandosi ai piedi del Signore e raccontandogli fatti e antefatti. Da dodici anni era emorroissa, soffriva cioè perdite continue di sangue, non si sa se occasionali o ripetute. Alcuni esegeti, accostando questo passo ad altri del Levitico (ai capp.12 e 15) rilevano che l0infernità di cui si tratta potrebbe riguardare una perdita di sangue ma anche una menorragia, cioè perdita mestruale. Nell'uno o nell'altro caso si era accusati di impurità e non si godeva certo di grande approvazione fra la gente.
Questa povera donna soffriva di questo malessere da dodici anni. Evidentemente si tratta di un numero simbolico, che nella Bibbia indica la pienezza dell'umanità, la completezza umana nella quale si verificano le opere divine: dodici sono i profeti minori dell'Antico Testamento, dodici le tribù d'Israele, dodici i figlio di Giacobbe, dodici sono gli apostoli di Gesù e dodici le ceste di pane portate vie dopo la famosa moltiplicazione (Gv 6, 13). Dodici anni aveva anche Gesù quando sarà venne ritrovato nel tempio di Gerusalemme. In una situazione quindi adeguata, di completezza umana, avviene che questa donna confida che il solo sfioramento della veste di Gesù possa operare prodigi per lei. Durante il ministero di Giovanni Paolo II, quando questi si trovava nel bel mezzo della turba di popolo, non di rado alcune persone gli dicevano: "Santità, si ricordi dell'ombra di Pietro" Negli Atti degli Apostoli infatti è descritto come la folla di popolo che esaltava l'operato degli apostoli, collocasse i malati e i paralitici in piazza perché anche l'ombra del mantello di Pietro che passava potesse coprire qualcuno di loro (At 5, 15) e questo era sufficiente per esternare la propria fede e la propria adesione al Signore in modo da ottenere anche un miracolo. Stessa cosa avviene adesso ad opera della donna emorroissa o menorragica che dir si voglia, la cui fede ottiene non solamente la guarigione, ma anche la stima e l'ammirazione di Gesù.

Dodici anni ha anche la bambina che Gesù finalmente raggiunge dopo questo "fuori programma" con la donna. Essa nel frattempo è spirata, ma Gesù le attribuisce un determinato sonno... La bambina, dice, dorme e non è morta. Non è una novità questa sua espressione, se consideriamo la morte di Lazzaro: mentre era ancora lontano da Betania, Gesù dice ai suoi discepoli che "Lazzaro si è addormentato e io vado a svegliarlo", ma poi, sbuffando per le loro incapacità di intuizione, si spiega: "Lazzaro è morto". A casa del capo della sinagoga cerca di convincere tutti che la bambina "dorme", ma anziché spiegarsi estromette tutti quanti da quella stanza salvo alcuni dei suoi e con una frase Talita kum, fa rialzare la bambina dal suo letto. Questa riprende a muoversi e a camminare e consumare cibo.
Spiegazione: Gesù, che è la resurrezione e la vita ci illustra che la morte fisica non è la fine di tutto. Essa è paragonabile a un "sonno", al quale fa sempre seguito la resurrezione. Gesù sveglia da questo "sonno" sia la bambina qui presente sia Lazzaro e altri per affermare che lui è al di sopra della morte, quella vera, e che essa non ha l'ultima parola perché chi muore in Cristo è destinato a vivere per sempre. Nella morte fisica si manifesta la gloria di Dio e il trionfo della vita che diventa eternità. Gesù ha la sua risposta di gloria e di prevaricazione sulla malattia e sulla sofferenza; la sua presenza toglie spazio al dolore oppure lo rende meno invasivo e compromettente, poiché infonde speranza e coraggio e ci fortifica nel dolore anche a prescindere da ogni miracolo. E sulla morte Gesù ha potere di sottomissione definitiva, perché non è mai possibile che la morte possa tenerlo in suo potere (At 2, 24) essendo Egli resurrezione e vita eterna.
E' la fede la vera protagonista della vittoria sul male e sulla morte; quella risorsa che accomuna due personaggi differenti che guadagnano ciascuno il proprio compenso. La stessa risorsa che ci ottiene ordinariamente stabilità, radicalità, costanza nella lotta e nella difficoltà e che dischiude le porte alla speranza, facendo in modo che guardiamo oltre. La fede che non si riduce al semplice "credo" abitudinario, impersonale e asettico tipico dei devozionismi, ma che si traduce nella vita perché ci radica nel Risorto, che è il Dio della vita. Egli ci assicura che la morte è solo un sonno, cioè un passaggio alla vita piena.
Piuttosto, come avverte anche il Siracide (1 Lettura), la morte può entrare nel mondo per opera del maligno quando si preferisce il peccato alla Parola e quando il peccato nel suo dilagare diventa il pungiglione della morte (1Cor 15, 56). Vivere da morti la vita è appunto morire per sempre e l'invidia del Maligno (quello vero) ha suscitato che odio, orrore, guerra, ingiustizia, tensione, cattiveria e ogni altra sorta di male vengano disseminati nel mondo per contaminarlo. Ma Dio ha creato ogni cosa per l'esistenza, per l'edificazione, per la crescita progressiva dell'amore, insomma per la vita e nulla di ciò che ha posto in essere ha il minimo sentore di rovina o di morte.
Come si diceva all'inizio, Gesù dimostra la sua presenza certa in tutti gli ambiti della nostra vita, ciò tuttavia affinché l'uomo si disponga a scegliere la vita.