Omelia (02-07-2024) |
Missionari della Via |
Un Dio dormiente è il nostro tormento: quante volte ci siamo sentiti abbandonati da Lui? Abbiamo la paura che Dio sia muto, senza parola, e che voglia farci naufragare nei nostri problemi. Nell'occhio smarrito di chi è tradito, nello sguardo ardente di un uomo pieno di rabbia per la morte di suo figlio, nella follia di quella insegnante che ormai scrive sui muri frasi sconnesse, in quel bambino abusato, in quell'uomo sommerso dai debiti che malediceva il giorno in cui era nato, lì, proprio lì, sembra che Dio dorma, nella piena tempesta del dolore dell'umanità. Molti di coloro che staranno leggendo queste righe, conoscono bene il senso di abbandono che si avverte in mezzo alla tempesta. Eppure, in quel caos interiore che avvertiamo quando siamo sommersi dalla paura, Dio ci dice di non scoraggiarci, interverrà! Certo, forse non sarà secondo i nostri piani, potrebbe presentarci una novità di vita. Come l'uomo che ogni giorno per ore fissava il crocifisso di una chiesa, disperato perché aveva perso la giovane e bella moglie per una malattia dolorosa, che incontrò una donna, che non era sua moglie, ma lo sarebbe diventata, e l'amore ritornò nella sua vita. Come la donna che perse un figlio, e che decise di farlo rivivere negli occhi di un bambino bisognoso. Come la donna frantumata da un tradimento, che riuscì a ricucire il legame perduto, quello squarcio violento, con più verità di prima. Nessuno di loro aveva previsto la tempesta, ma tutti hanno afferrato la mano di Dio per essere risollevati! Tutto tornerà a Dio, perciò dobbiamo decidere se la nostra disperazione deve avere l'ultima parola, oppure fare nuovo spazio. Imparare così a gridare a Dio: "Salvaci Signore, siamo perduti!" e ascoltare la sua risposta: "no, non è ancora la fine, anzi con me non è mai la fine. Io faccio nuove tutte le cose!". Coraggio, oggi trasmettiamo al mondo questo amore più grande, facciamo sì che il Signore faccia tacere i venti della disperazione dentro e fuori di noi, diamo vita sempre a nuove cose belle. La vita può rifiorire se decidi di continuare ad amare! L'Amore ti verrà incontro sempre, in forme e connotati forse unici, ma sarà lì. Una bellissima testimonianza sull'amore che salva nella tempesta: Liliana racconta, ai ragazzi nelle scuole e sui giornali, che l'ha salvata l'amore, che ha resistito a tutto, alle torture, la fame, il gelo, il lavoro, la marcia della morte, perché era stata amata. Ed è stato così anche dopo, con suo marito. Senatrice a vita da gennaio del 2018 è diventata testimone della Shoah e donna di pace, come si definisce lei stessa, solo dopo che l'amore l'aveva ricondotta, con dolcezza e fedeltà, alla bellezza di una vita normale. Quello che sarebbe diventato suo marito era lì, davanti a lei, e non aveva paura. Non ha avuto paura dopo, davanti alla sua storia, l'ha sempre protetta. Si chiama Alfredo Belli Paci, (...) laureato in Giurisprudenza, era allora un praticante in uno studio legale di Bologna. «Ma nel 1943 era stato uno dei seicentomila "no", uno dei soldati italiani catturati che non vollero aderire alla Repubblica sociale e furono rinchiusi nei campi di prigionia» spiega Liliana. «Fu spostato in sette diversi lager. Per questo li aveva visti, quelli come me». Il miracolo semplice di Alfredo è avere fatto di lei una donna normale. Una cosa che colpisce e commuove e ci riconsegna un'immagine di uomo intera e forte, virile come adesso nemmeno si può provare a tratteggiare, è che Alfredo ingoia il proprio dolore, si mette da parte quasi morendo a se stesso e si offre a lei, per custodirla e amarla. «Non si è spaventato e non è scappato di fronte alla mia storia - dice Liliana -. Per me ha messo da parte i suoi stessi traumi di prigioniero. Sono stata sempre e solo io, in famiglia, la persona da proteggere». Davanti ai figli lo dirà spesso: "Non parliamo di me perché di fronte a quel che ha avuto la mamma non c'è paragone". Le si accosta in "un modo così dolce", proprio a lei "che era come un animale ferito". Le disse "perché anch'io sono stato in sette campi diversi", per poi non parlarne più, solo per farle capire che la comprendeva davvero. Quando a sessant'anni la Segre deciderà di raccontare la sua esperienza di ebrea deportata ne parlerà con lui. Da allora ha parlato in centinaia di scuole a migliaia di ragazzi. "Va bene, se è questo quello che vuoi tu sai che poi (e qui inizia a scandire le parole, rallentando il ritmo) torni a casa da me. E in effetti lui era lì a dirmi "amore mio", questo è stato molto importante". Lui è un uomo di fede, vi è stato condotto soprattutto dalla madre. La sua fede e devozione si intensificano ancora di più alla morte della mamma; Liliana non crede, invece, ma anche a questo penserà lui. Se non è un vero sposo costui! Le dirà spesso negli ultimi tempi, racconta ora da vedova: "tu non credi, io sì. Io sono più vecchio di te, vado avanti prima di te e pregherò per te". Questo farsi carico di tutte le ferite dell'altro e portarle al Solo che le può guarire, è vero amore cristiano e nella speciale via del matrimonio. Come marito l'uomo deve cristificarsi sempre più per la sua sposa. Come Cristo lo è per la Chiesa è disposto a morire per lei. Un amore fortissimo che si riconosce impotente di per sé, ma capace di tutto per mezzo di Chi ha patito per salvarci. Un marito certo della fede forse solo differita della moglie, disposto a spendersi per lei fino in fondo, fin oltre la vita pur di sottrarla a tutti gli inferni possibili. Che meraviglia!» |