Omelia (28-07-2024) |
Paolo Curtaz |
Merende Sei volte viene raccontato il più grande fra i segni compiuti dal Maestro. Il più grande e il peggiore. L'inizio della fine. Il miracolo dell'incomprensione che mediteremo oggi e nelle prossime settimane. Il miracolo che segna il discrimine e che mette e a nudo, impietoso, la nostra approssimativa idea di Dio. E di noi stessi. E della nostra ricerca di fede. Allora come oggi. E ci pone davanti ad una scelta: vogliamo un Dio che ci sfama o uno che ci insegna la condivisione? Ecco il discrimine. E anche Giovanni, a modo suo, racconta il miracolo della condivisione. L'unico condiviso con gli altri evangelisti. Solo che. Da dove? In Giovanni è Gesù che si accorge del bisogno della folla. Non sono passate le ore, come nei sinottici. Non sono i discepoli a fargli notare la necessità di lasciar andare le persone per mettere qualcosa nello stomaco. È lui, il Maestro, a vedere. Gesù alza gli occhi e vede la folla. Alza gli occhi, ma non al cielo. Li alza all'altezza giusta per guardare negli occhi di chi gli sta di fronte. Li vede. È concreto Dio, non ha la testa fra le nuvole. E vede la fame, il dolore, lo spaesamento. Vede quelle pecore senza pastore, ne prova compassione, non pena. Vede noi pecore senza pastore, ossessivamente svagati alla ricerca di un impossibile ritorno alla normalità. Vede, perché gli stiamo a cuore. Vede noi, vede me. Cerca delle soluzioni. E ce l'ha: chiedere aiuto, spingere alla solidarietà e alla condivisione, coinvolgere, fare rete, creare legami. Chiede a Filippo, uno dei Dodici, il cui nome manifesta un'ascendenza pagana, greca forse. È un uomo di mondo Filippo, non un provincialotto come gli altri discepoli. Ha occhio per gli affari e per il commercio. Non gli chiede come sfamare la folla, ma: da dove? Da dove prendere il necessario per sfamare tanta gente. Quale fornaio potrebbe avere tutto quel pane? Tenero, Gesù. Manco si pone il problema di chi paga. Tipico degli idealisti sognatori come lui. Filippo lo riporta con i piedi per terra: con duecento denari di pane non si riesce nemmeno a dare un boccone a tutti. Duecento denari! Cioè duecento giornate di lavoro. Diecimila euro di pane! Non è proprio possibile sfamare tutta quella folla. Eppure, facendo i calcoli, significa quasi un chilo di pane a testa, al prezzo attuale. Di che sfamare certo. Davanti ai problemi tendiamo a enfatizzarli. No guarda, Signore, proprio non è possibile. Nulla può saziare il cuore dell'uomo. Nulla acquietare le sue inquietudini. Non risolvere i conflitti che germinano continuamente. Non dare pace, giustizia, pane, lavoro, rispetto. Non esageriamo. Solo tu, eventualmente, lo puoi fare, oppure lasciamo le cose come stanno. Oppure. Travolti Mi sento Filippo, a volte. Vedo la fame. Vedo la folla. Intuisco le soluzioni, non ne ho i mezzi. Vedo il dolore della gente che ho intorno. Ma anche i limiti e le paure, che sono le mie. Assisto, attonito, alla crescita della violenza, dell'odio, della cattiveria che come una pustola infetta sta contagiando tutti i cuori, togliendo umanità e lucidità. Vedo contrapposizioni inutili, giudizi taglienti e parole che piovono come pietre. E non so che fare. Vedo la Chiesa in Italia intimidirsi, chiudersi, arroccarsi, vedo persone buone e generose demotivate e stanche. E non so cosa fare. Il buon senso direbbe: non c'è nulla da fare. Ci vorrebbe il guizzo di un folle. O di un adolescente. Merenda Giovanni è l'unico che ci parla di questo dettaglio. Per uscire dall'impasse ci è voluta l'iniziativa di un adolescente che ha condiviso la sua merenda. L'apostolo Andrea è quasi in imbarazzo davanti a quell'ingenua proposta. Gesù sorride. Ci voleva tanto? Non bisogna fermarsi alla dimensione del problema o all'enormità della sfida. Il cuore non pianifica le sue azioni. La generosità non si può calcolare. L'amore osa. E risolve. Il ragazzo ha capito tutto. Non è il problema al centro dell'attenzione, e nemmeno la soluzione. Ciò che veramente importa è quanto tu voglia condividere. Lui mette in gioco tutto quello che ha. Quel poco che ha. Come ha fatto il servo del profeta Eliseo, un altro adolescente. Inutile? Insufficiente? Patetico? Sì, forse. Ma lo fa. E se tutti lo imitano il cambiamento è assicurato. No, non è il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ma della condivisione. Avanzi Mi colpisce l'insistenza, nel racconto, nel volere raccogliere gli avanzi. Hanno mangiato in cinquemila, con la fame di persone che, non sempre, mangiavano una sola volta al giorno. E ne avanza. Gesù vuole che nulla vada perduto. Mi è venuta in mente una cosa: quante persone si sono accostate alle nostre comunità per avere delle soluzioni. Sacramenti, aiuti economici, ascolto, servizi educativi per i ragazzi... Persone abituate a prendere il necessario e poi sparire. A volte restiamo urtati da questo atteggiamento. Sbagliato: va bene così. Tutto quello che doniamo rimane per sempre. La folla visto il miracolo, vuole fare re Gesù. Come biasimarla? Tutti voteremmo un governo che ci regalasse dei soldi! Non ha capito niente. Nulla. Nada. Zero. Il senso del miracolo è: davanti alla sofferenza metti in gioco tutto ciò che sei e che hai. La gente ha capito: ecco uno che ci sfama gratis. L'esatto contrario. Ahia. Prevedo guai.
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