Omelia (28-07-2024) |
don Andrea Varliero |
Un ragazzo, dodici ceste, un segno E mentre tutti stanno mangiando seduti, e mentre c'è una festa dal sapore del pane sull'erba verde in riva al lago, vorrei con lo sguardo tornare e comprendere quello che è appena accaduto. Tornare a quel gesto che ha permesso tutto questo: è il dono di un ragazzino, un canestro con cinque pani e due pesci, tutto quello che aveva. Perché? Perché donare tutto quello che avevi nelle tue mani, perché perdere quella tua piccola o grande sicurezza, perché accettare di mettere in circolo quello che ti appartiene, in nome di chi o di che cosa? Qui mi arrendo, qui inizia il mistero: la capacità, la possibilità che un ragazzo, un uomo, una donna, un anziano possano essere dono per gli altri. Viviamo in un tempo in cui risuona nella testa un ritornello: «Io mi comporto come tu ti comporti». Se tu ti comporti bene con me, anche io; ma, se tu mi offendi, io rispondo con la stessa moneta. Sembra un atteggiamento adulto, ma a ben guardare è un gioco che da sempre fanno i bambini, il gioco dello specchio. Il contraccambio. Io prendo, io pretendo, io do nella misura in cui tu dai a me. Dove sta la nostra responsabilità, dove la nostra maturità? In un mondo dove prendiamo e pretendiamo, in cui il contraccambio fa l'ago della bilancia, finalmente un ragazzo indica altro. Una mano aperta e un dono, piccolo o grande non so, ma totale: cinque pani e due pesci. Il primo segno dell'Eucarestia sta in quel dono, il mistero più grande di questa pagina sta nel cuore del ragazzo, nel cuore dell'umanità che ancora sa donare. Non manca il pane sulla terra; non manca il vestito al mondo. C'è così tanto spreco alimentare, ci sono intere colline di abiti lasciati marcire, che viene da arrossire. Uno spreco e un disamore al pianeta che lo ammala, che avvelena nel corpo e nello spirito. Non manca il pane, non manca il vestito. Manca il lievito, un modo nuovo di vivere e di abitare questo mondo, nel dono. Quel ragazzo è il lievito, il dono più silenzioso e bello. Dodici ceste, dodici ceste piene. Dove sono finite? Stanno qui, nelle nostre comunità, sono ancora presenti in mezzo a noi. Lungo i secoli sono il nostro tesoro più grande, la misura del dono. Ne faccio esperienza ogni giorno di quelle dodici ceste: quando entro nella logica del dono, tutto si moltiplica; quando mi dimentico di me stesso, delle mie prese e delle mie pretese, tutto diventa una moltiplicazione. Il dono moltiplicato in un centro di ascolto Caritas, il dono moltiplicato di un progetto educativo, il dono moltiplicato di una vita di comunità: sono esperienze toccabili, sono incontri tangibili. Il segno del pane che di mano in mano non viene a mancare, il segno di una condivisione che di vita in vita viene moltiplicata, sono il segno di una comunità viva, che ancora conosce il sapore e il gusto del pane. Ma quando mi chiudo, quando la comunità si dimentica di avere con sé quella cesta piena, quando mi lascio prendere dallo sconforto e mi ritiro, anche il dono si ferma, anche il pane e la comunità perdono di sapore. La fatica del cristianesimo in questo nostro tempo sta nell'essersi dimenticato di quella cesta ancora presente, del dono. La più grande tentazione è rinchiuderci nelle nostre stanze: ma questo Vangelo e questo pane narrano di spazi aperti, di passaggi, di sguardi sconfinati, di volti e di buoni pastori, di mani che donano e mani che accolgono, di vita; non sempre catalogabile, non sempre comprensibile, ma sempre abbracciabile, capace di dono. Il gusto del pane: è al centro del Vangelo secondo Giovanni, uno tra i pochi miracoli che tutti e quattro i vangeli narrano all'unisono. Giovanni, tuttavia, trasfigura questo miracolo in un segno. Oltre il gesto si intravvede il volto, il suo sguardo sul mondo. Non è un miracolo che mi chiude in silenzio, ma il segno di quello che anche le mie mani vivono ogni giorno. Non è una storia passata, è il segno del mio presente, è lo slancio per i nostri giorni. In questo segno incontro le nostre domeniche, la bellezza di un dono moltiplicato. In questo segno incontro il memoriale: ricordati di essere dono. Un dono che non pretende, un dono che non cerca il potere, un dono che non cerca il contraccambio, un dono che non mette «a posto» l'altro, né cerca di possederlo. Un dono che rende liberi, un dono che rende gratuitamente magnifica l'esistenza dell'altro. Se, e quando vorrà, forse risponderà. Un dono autentico. Un ragazzo, dodici ceste piene, un segno: il dono. |