Omelia (04-08-2024) |
don Alberto Brignoli |
Un pane dal cielo Dobbiamo essere onesti: siamo un po' tutti come le folle che seguivano Gesù, le quali andavano in cerca di lui solamente perché e quando avevano bisogno di qualcosa. E così siamo anche la stragrande maggioranza di noi: ricorriamo al Signore nel momento della necessità, quando abbiamo bisogno di una grazia particolare, oppure in quei luoghi e in quelle occasioni dove sappiamo che la grazia di Dio si manifesta in maniera particolarmente efficace, e poi, per il resto, non dico che ci dimentichiamo di Dio, ma poco ci manca... Come fece con i suoi contemporanei, Gesù oggi non ce le manda a dire: "Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati". Del resto, fa comodo a tutti avere a disposizione qualcuno che ti riempie la pancia senza dover fare dei grandi sforzi! E a Gesù, questo non dispiace: credo che sia felice di poterci aiutare e di poter venire in nostro soccorso quando abbiamo una necessità materiale. Ma questo non basta: egli vorrebbe essere lieto di vedere che ci diamo da fare anche per "il cibo che rimane per la vita eterna". E le folle che lo seguono dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, questa cosa la capiscono con una certa facilità, nel dialogo che si instaura tra Gesù e i suoi uditori. Sanno bene, infatti, che Gesù li chiama a qualcosa di più, e allora si affrettano a chiedergli come devono comportarsi: "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?". Per comprendere meglio questa domanda, dobbiamo chiederci che cosa si intende, nella mentalità biblica, con "opera di Dio". Questa espressione ricorre pochissime volte nell'Antico Testamento, non più di quattro o cinque. Nella Legge di Mosè, il Pentateuco, considerato il fondamento della fede di Israele, viene utilizzata una volta sola, nel libro dell'Esodo, e si riferisce proprio alle Tavole della Legge che Mosè tiene fra le braccia scendendo dal Sinai: "Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle tavole". Fare qualcosa per "compiere le opere di Dio" - come chiedono le folle al Maestro - significava allora mettere in pratica la Legge: ed è quello che gli interlocutori di Gesù vogliono sapere da lui, dopo aver finalmente compreso che il Maestro può dare loro qualcosa che va oltre il pane materiale. E dimostrano non solo di essere profondamente interessati a qualcosa che vada "oltre" la vita materiale, ma di conoscere bene la Storia della Salvezza, durante la quale il popolo d'Israele, nel deserto, è stato nutrito da Dio con "un pane dal cielo", la manna, di cui abbiamo ascoltato nella prima lettura. Sono quindi ben coscienti che esista "un pane celeste" diverso da quello terreno che si trova quotidianamente sulle loro tavole, ma lo vedono comunque sempre come un gesto provvidenziale da parte di Dio, che nutre il corpo nel momento in cui il pane di ogni giorno non basta, o nel momento in cui ci si trova in una situazione di grave carestia e di mancanza di cibo, come fu appunto nel deserto del Sinai e come è stato anche pochi istanti prima, quando cinquemila uomini si sono saziati grazie al miracolo compiuto da Gesù. Il quale, tuttavia, porta il discorso su un ambito meno materiale, e spiega loro che cosa significhi "compiere le opere di Dio": non significa più solamente obbedire alla Legge di Mosè e compiere con i comandamenti ricevuti da Dio, significa innanzitutto credere in lui, nel Figlio di Dio, sul quale il Padre "ha messo il suo sigillo". E questo è possibile proprio a partire da quell'unico comandamento che Gesù è venuto a portare, di cui il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci è stato un segno evidente; ovvero, il comandamento dell'Amore. Il "pane vero disceso dal cielo" donato da Gesù alle folle non è paragonabile al "pane dal cielo" donato da Dio al popolo d'Israele attraverso Mosè. Quello era un pane che saziava la fame grazie a un dono di gratuità totale da parte di Dio; quello di Gesù è un pane che sazia la fame a partire da un gesto d'amore a cui tutti siamo chiamati, quello della condivisione, di cui è stato protagonista un ragazzino che aveva con sé cinque pani e due pesci: un nulla, agli occhi di chi ragiona con la logica egoistica dei soldi, molto di più per chi ragiona con la logica dell'amore condiviso. "È possibile, allora, avere sempre a disposizione questo pane dal cielo?", chiedono le folle a Gesù. Certo che è possibile: e non lo si fa passando attraverso il difficile compimento dell'opera di Dio secondo la mentalità dell'Antico Testamento, ma lo si ottiene solamente credendo in Dio attraverso suo Figlio Gesù, l'unico capace di rendere l'Amore condiviso un'opera di Dio. Le folle sembrano aver colto questo, e il loro cammino di fede inizia a partire dal riconoscimento di Gesù non più come il "Rabbì", il Maestro a cui si erano rivolti per imparare l'ennesima formuletta di catechismo, ma come il "Signore" capace di donare loro il pane dell'Amore condiviso: "Signore, dacci sempre questo pane". Non sarà un cammino di fede facile, e ce ne accorgeremo nelle prossime domeniche, quando le folle inizieranno a mormorare contro Gesù per il suo ritenersi superiore a Mosè, e poi ad abbandonarlo, insieme anche ad alcuni dei suoi discepoli, per la durezza del suo linguaggio. Ma per ora, accontentiamoci anche noi di queste parole di Gesù, che al termine del brano di Vangelo di oggi ci chiede una sola cosa: fidarci di lui, l'unico capace di saziare la fame materiale dell'umanità attraverso la condivisione, e di trasformare il pane condiviso in ciò che, solo, è capace di saziare la nostra fame e sete di Amore. |