Omelia (12-02-2006) |
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* Mi è capitato più di qualche volta di avere a Messa fra i fedeli della domenica mattina un barbone che inaspettatamente si siede in uno dei primi banchi della chiesa e segue con attenzione tutta la celebrazione. Arrivato al momento della Comunione si mette in fila con gli altri e la riceve. Il senso di disagio che qualcuno prova, una di queste mattine ha colto anche me mentre tendevo la mano per accostargli alla bocca l'ostia consacrata. Istintivamente pensai alla capacità che aveva Gesù di non sentire quel senso di disagio, legata alla sua volontà costante di accorciare le distanze, di toccare ciò che era disdicevole anche solo sfiorare, di amare tutti come fratelli, di trattare ognuno familiarmente. * Nella Parola di Dio di questa domenica c'è una figura ricorrente, quella del lebbroso. La lebbra è una malattia terribile, perché oltre alle conseguenze fatali che ha, sfigura tutto il corpo e, secondo la concezione dell'Antico Testamento, rende sommamente impuri. Così la prima lettura (tratta dal Levitico) rispecchiando questa concezione emargina il lebbroso e mette in guardia chi vuole "rimanere puro" dall'avvicinarsi a ciò che è impuro. Il Vangelo dall'altra parte ci mostra un Gesù che non ha paura di stendere la mano verso un lebbroso, non ha paura di toccare ciò che è considerato oltre modo impuro, non ha paura di agire contro-corrente, accorciando le distanze, non ha paura di smascherare il peccato più profondo e più grave, che è quello della separazione, della discriminazione, dell'emarginazione. * "Risanaci, o Padre, dal peccato che ci divide e dalle discriminazioni che ci avviliscono"- troviamo nella preghiera di colletta biblica (anno B) di questa celebrazione. * I gesti di Gesù sono inequivocabili e l'evangelista Marco insiste nel descriverli. Già domenica scorsa – ve lo ricorderete - nel raccontare la guarigione della suocera di Pietro, si sottolineavano le seguenti azioni di Gesù: "accostatosi, la sollevò prendendola per mano". Così anche nel brano di oggi Gesù: "mosso a compassione, stese la mano, lo toccò". Questi gesti di vicinanza esprimono la volontà di piena comunione che Cristo vuole stabilire con ognuno di noi; questi gesti esprimono la totale gratuità e l'assoluta mancanza di pregiudizi che rende il rapporto di Dio con ognuno di noi unico, tenero e irripetibile. Ai gesti si accompagna la parola efficace del Signore: "Lo voglio, guarisci!". Guarisci, cioè ti rialzo, ti restituisco la piena dignità davanti agli occhi di tutti. Se è veramente questo il modo di agire di Cristo Gesù nei nostri confronti, facciamoci suoi imitatori, come in fondo ci invita a fare San Paolo nella lettera ai Corinzi (II lettura di oggi). * Certamente la parola che sta alla base di quanto diciamo o facciamo è la fede, cioè quell'atteggiamento di fiducia piena nei confronti di Dio che innanzitutto ci fa sentire, proprio sulla nostra pelle, il tocco della sua mano che vuole creare piena comunione con Lui e così ci risana e ci fa guarire dalle nostre colpe, prime fra tutte, i peccati contro l'unità. La percezione di questa presenza viva ed unificante di Cristo nella nostra vita ci guarisce dalla lebbra più grossa: la divisione da Dio e dai fratelli. * Chiediamo in questa domenica la grazia di non farci condizionare dal senso di disagio di fronte ad ogni forma di povertà materiale e spirituale, chiediamo al Signore la grazia di avere sempre il coraggio di sporcarci le mani, di non ritrarle mai, di toccare e di rialzare coloro nei quali Dio ci ha dato di poter riconoscere e di poter toccare il Verbo della vita, cioè Cristo Gesù, misericordia del Padre. "Risanaci, o Padre, dal peccato che ci divide e dalle discriminazioni...". Commento a cura di don Nello Crescenzi |