Omelia (11-08-2024)
don Andrea Varliero
Il pane, che move il mondo e l' universo

«Spesso il male di vivere ho incontrato» scriveva Eugenio Montale, ma millenni prima stava scritto anche nel cuore in un profeta, Elia. Il più grande tra i profeti: Elia voce di fuoco, Elia per il quale la sera di Pasqua teniamo un posto libero, forse si siederà ancora a tavola con noi, ritornerà. Elia ha appena passato a fil di spada più di quattrocentocinquanta profeti di Baal e quattrocento profeti di Asera, ha combattuto sul Carmelo la battaglia contro idoli e dèi, contro l'aridità e la sete, e ha vinto. Ora è minacciato di morte: è il tempo della fuga, del fare i conti con la propria vita, sotto l'ombra di una ginestra amara. Ha vinto una battaglia, ma ha paura, vive la consapevolezza di aver perso la guerra: «Non sono migliore dei miei padri, prendi la mia vita». Preghiera inconfessabile, che nessuno ha il coraggio di ammettere, ma che in qualche momento della nostra vita abbiamo pronunciato dentro la camera più oscura della coscienza. Troppo pesante il dolore, troppo umiliante il fallimento, troppe ingiustizie subite, troppo amara la vita. Eppure, è un momento di passaggio fondamentale: Elia, l'adolescente vittorioso, sta diventando Elia l'adulto fragile, capace di lasciar entrare Dio come voce del silenzio. Diventare adulti: consapevoli di essere fragili, riconciliarsi con la storia dei nostri padri senza pretendere di esserne migliori, fare i conti con lo zaino dei propri successi e insuccessi, decidere perché continuare a vivere, nonostante tutto attorno, e dentro, sia crollato. Elia ha il volto dell'anziano che incontro quando porto la comunione nella sua stanza piena di solitudine; Elia ha la voce dell'adulto con una ferita inespressa; Elia porta la cravatta di un successo di facciata e la morte dentro; Elia: come noi. Che cosa lo salva? Lo salva l'ascolto, lo salva il pane. «Non ce la fai da solo», gli sussurra un angelo: ed è un colpo inferto all'uomo che non deve chiedere mai, un colpo all'orgoglio e all'Elia che abbiamo dentro, un passaggio fondamentale dall'adolescente sconfinato all'adulto ferito e limitato. Quell'angelo non ha preteso la nostra umiliazione, né ci ha spronati all'impossibile: si è preso cura di noi, ci ha offerto una mano per rialzarci e un pane per riprendere il cammino. L'orgoglio fine a se stesso ci impedisce di accostarci al Pane: io non sono degno di quel Pane, ed è orgoglio di chi si sente più forte della misericordia di Dio; io non ne ho bisogno di quel Pane, ed è orgoglio adolescente di chi pensa di bastare a se stesso. Il Pane ha il sapore del nostro essere adulti, del limite che si lascia mangiare; il Pane ha il gusto della fragilità che si lascia abbracciare e trasfigurare; il Pane non è conquistato né meritato, è accolto come luogo santo di amicizia con Dio e medicina a riprendere il cammino verso Dio. Quando l'anima è pronta, allora anche noi siamo pronti.
Il Pane che attira tutto e tutti, il Pane che muove il mondo e le stelle. In un momento di grave crisi per Gesù, in cui la pretesa di essere Pane della Vita si scontra con la sua figura umana limitata di un uomo di cui conosciamo vita, morte e miracoli, il Pane diventa il centro di gravità permanente. Un Pane che scende, un Pane che attira, un Pane che lega il Padre ai figli e il Figlio ai fratelli, un Pane che lega vita a vita. È la forza dell'universo: «L'amor, che move il mondo e l'universo» scriverà Dante dopo più di mille anni; la forza di gravità, che sarà sperimentata alla fine del Seicento da Newton; l'atomo, che sarà codificato agli inizi del Novecento; lo spazio-tempo, che muove un universo in espansione secondo Einstein. Il pane, atomo dell'infinito: «L'ostia nella sua piccola orbita racchiude l'universo visibile e invisibile, l'umano e il divino, il tempo e l'eternità» (card. Parente). È bello fare memoria che nel pane siamo in un Corpo eterno, prima del tempo e dello spazio, forza che spinge all'Essere; è bello percepire che nel Pane incontriamo un Corpo storico, la sua figura; è bello sentire che nel Pane incontriamo una Corpo comunità, briciole che insieme camminano come unico pane; è bello allargare lo sguardo è sperimentare che tutto l'universo obbedisce al Pane, un Corpo universale, una liturgia cosmica che orienta il mondo e l'universo. «Non c'è che una sola messa al mondo, in tutti i tempi: la vera Ostia, l'Ostia totale, è l'Universo che, sempre più intimamente, il Cristo invade e vivifica» (Theillard De Chardin, La mia fede). Un tesoro spirituale da ascoltare in questa domenica: la bellezza di essere adulti grazie al Pane; ringraziare di essere adulti fragili e imperfetti capaci di lasciarsi voler bene da un angelo e sostenuti da un pezzo di pane; la bellezza che l'Infinito, che tutto l'universo obbedisce all'amore: al Pane.