Omelia (01-09-2024)
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)
Commento su Dt 4,1-2.6-8; Sal 14; Giac 1,17-18.21-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23

Uno psicologo definirebbe «nevrosi ossessiva» l'attenzione scrupolosa che gli ebrei osservanti del tempo di Gesù (ma anche, per taluni aspetti, gli ebrei osservanti contemporanei) riservano ai temi degli alimenti, dell'igiene e delle tradizioni. La ragione è semplice, come attesta la prima lettura di questa domenica. Dice il Deuteronomio: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi...» (Dt 4,1). L'ebreo osservante, dunque, mettendo in pratica la legge di Jahvè, tiene un comportamento eticamente corretto, gradito a Dio. Il rischio di un'osservanza «ossessiva» è, secondo la nostra sensibilità, quello di amare la legge di Dio più che il Dio della Legge. Ma, al riguardo, non è bene essere sbrigativi e concludere qui il ragionamento. Come annota acutamente Emmanuel Lévinas, filosofo francese di origini ebraico-lituane, in «Amare la Torah più di Dio», un saggio contenuto in un bellissimo libretto di Zvi Kolitz «Yossl Rakover si rivolge a Dio» (Adelphi, Milano 20078), dire di Dio «Io lo amo, ma amo di più la sua Legge» non è una forzatura, ma «la protezione contro la follia di un contatto diretto col Sacro senza la mediazione della ragione».

E tuttavia, per tutti, esiste un rischio, pericoloso: quello di dividere le persone tra osservanti e non osservanti, creando separazioni. Non è un caso che la parola «fariseo» significhi appunto «separato». La missione dei farisei, pur evitando connotazioni dispregiative, era quella di rendere «santa» la gente attraverso l'osservanza perfetta delle leggi della purezza e delle tradizioni. Ma spesso distinguendo e selezionando.


Il tema di questa domenica è appunto quello della purezza. Seguiamo l'evangelo di Marco per cogliere le due modalità alternative di vivere questa virtù. Quella tradizionale (farisaica) e quella innovativa, portata da Gesù. È opportuno premettere che il tema della purezza non è nuovo nella riflessione di Marco che in varie altre occasioni, nel suo evangelo, ha ripreso questo argomento (cfr. 1,23-28; 1,40-45; 5,25-34; ecc.).

Ai tempi di Gesù non c'era la televisione, né Internet, ma le voci su questo Rabbi, che operava miracoli e che non era tenero con il potere costituito, si era sparsa ugualmente sul territorio della Palestina. Un gruppo di farisei, dunque, e di scribi parte da Gerusalemme e raggiunge Gesù e i suoi discepoli. Tra i compiti dei farisei c'era anche quello di far rispettare la legge, con le buone e se necessario con le cattive. C'è una velata minaccia, dunque, dietro a quella domanda: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?» (cioè, senza essersi lavate accuratamente le mani e senza aver fatto le abluzioni rituali...). La reazione di Gesù non si fa attendere. Prima cita Isaia: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Is 29,13). Poi, dopo aver messo in evidenza la loro ipocrisia, lancia l'accusa più pesante: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». E infine, utilizzando questo episodio per uno spunto pedagogico, si avvicina alla folla e dice: «Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall'uomo a renderlo impuro». Proviamo a cogliere da questo episodio almeno due suggerimenti:


1) Gesù propone un nuovo modello di religiosità rispetto a quella antica: quella era fondata su una forma di sacro che (etimologicamente) separava: da una parte i buoni, coloro che osservavano letteralmente la legge; questa del Maestro, invece, inaugura un modello nuovo; si tratta di una religiosità che, anziché separare, unisce perché apre a feconde relazioni tra gli esseri umani. Anche come coppia e come famiglia possiamo passare da una religiosità rituale, fatta di osservanze tradizionali, di abitudini, e in genere un po' triste, a una religiosità gioiosa, in cui fondamentale è l'incontro con il Signore e con i fratelli, gli uomini e le donne che condividono il nostro stesso percorso di fatica.

2) Gesù propone un nuovo modello di etica. Ciò che è impuro non viene dentro di noi dall'esterno, ma viene fuori dall'interno. Gesù, cioè, colloca ciò che è puro ed impuro al livello del comportamento etico. Molte coppie e famiglie «benpensanti» non vogliono spesso «contaminarsi» con coppie e famiglie cosiddette «irregolari» e - ancora più spesso - è la stessa comunità cristiana a emarginare in molti modi queste coppie e queste famiglie, non ritenendole «degne». Sì, la paura della contaminazione è ancora molto forte nella Chiesa. Gesù ci insegna, tuttavia, che solo un cuore ospitale e libero può valutare ciò che è buono e degno, e ci chiede di accogliere tutti, senza giudicare, senza paura di contaminarci. Ci insegna, in definitiva, a passare da una religione della forma a una religione della persona. Un'autentica rivoluzione.


Ma, a nostro giudizio, è possibile dedurre un'applicazione ancora più concreta a riguardo della coppia e della famiglia. Si entra qui in uno dei punti nodali dell'esistenza di ogni essere umano, e non solo degli uomini e delle donne di fede.

La nostra è una società in cui vengono adorati gli idoli più strani - denaro, carriera, bellezza, sesso - eppure si fa strada un'insistente domanda religiosa. C'è nelle coppie e nelle famiglie che incontriamo sul nostro cammino un tentativo serio e sofferto di ricerca di un'identità nella quale riconoscersi, di una comunità alla quale aderire per superare la solitudine e l'isolamento. Un isolamento che interessa tutti, ma che è particolarmente avvertito dalle coppie giovani, spesso lasciate sole, nell'anonimato livellante e triturante delle grandi periferie urbane e sociali, proprio nel periodo più delicato della loro esperienza di coppia, quando la difficoltà di riconoscersi e di accettarsi nelle reciproche differenze può rendere più difficile il cammino verso una relazione adulta e matura.

A queste persone, nell'instaurare con loro un rapporto di accompagnamento, non possiamo proporre una religiosità semplicemente formale. La loro è un'autentica domanda religiosa, perché è una domanda di senso destinata però spesso a rimanere nel vago. Prevale in essa quel bisogno di sacro «che atterrisce e affascina» (Rudolf Otto) o semplicemente un religiosità «da supermercato». Altre volte, però, essa assume la forma di interrogazione lancinante a Dio, come quella di Giobbe dal suo luogo di segregazione e di sofferenza, o quella di Gesù sulla croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". È interpellare Dio per chiedergli ragione dell'esistenza, ma in fondo, quanto consciamente non è possibile dire, anche per affidargliela; è ricercare una pienezza di vita, dare ad essa un valore ed un senso per dischiudere prospettive di significato anche là dove esso parrebbe negato. Così il religioso diventa il fondamento del vivere morale, per cui nell'esperienza cristiana non esiste mai una frattura tra il momento etico e quello religioso: e l'interrogazione assume una sua pienezza proprio quando è impegnata ad una risposta: questo è il momento della fede.

Anche la fede degli sposi - ancorché credenti - non è mai la sovrapposizione della loro fede precedente all'incontro di coppia, ma è la scoperta - assieme, pur nel rispetto dell'incatturabile mistero dell'altro - del piano di Dio su di loro, e del cammino che, insieme, essi sono chiamati a compiere per restare fedeli, nel quotidiano che ci è dato in sorte di vivere, a questo disegno.


Occorre dire alle coppie e alle famiglie che incontriamo che la Parola di Gesù è parola di salvezza e di liberazione da ogni schiavitù e da ogni idolatria (anche quella del Tempio e della Legge) e che non c'è opposizione tra religione e vita - una religione «del cuore» che non fa distinzione tra «osservanti» e «non osservanti», ed una vita nella quale scrutare la presenza arcana del Dio-Liberatore - né tra «sacro» e «profano», perché in questo profano ci sono semi di sacro da adorare.

Scrive Giacomo nella sua lettera: «Tutto ciò che abbiamo di buono e di perfetto viene dall'alto: è un dono di Dio, e Dio non produce tenebre» (1,17). E aggiunge che «questa è la religione che Dio considera pura e genuina: prendersi cura degli orfani e delle vedove che sono nella sofferenza» (1,27). Gli orfani e le vedove sono una categoria linguistica, un genere letterario, per dire tutti coloro che fanno più fatica, anche e particolarmente nella coppia e nella famiglia, e qui sta la saldatura tra religione ed etica, tra fede e Legge. Spesso le coppie e le famiglie che incontriamo vorrebbero ascoltare da noi una parola di conforto, vedere confermata quella verità che sentono, forse confusamente, nel cuore. E colui che dice la verità che ha nel cuore, dice il salmo 14, abiterà (anzi, già abita) nella casa del Signore.


Per la nostra revisione di vita

1) Come coppia e come famiglia che cosa facciamo concretamente per seguire il nuovo cammino religioso e etico che Gesù ci indica per arrivare a Dio? Sappiamo leggere la presenza di Dio nel nostro rapporto di coppia? Quanto c'è di formalistico nel nostro rapporto di coppia?

2) Che rapporto abbiamo con coloro che si definiscono «non praticanti»? Diamo loro «ospitalità»? Ci sentiamo uniti a loro, oppure separati? Il nostro comportamento li avvicina o li allontana?


Luigi Ghia - Direttore della rivista Famiglia domani.