Omelia (15-08-2024)
don Andrea Varliero
In corpo e in luce

I frati minori rimasero perplessi appena videro svelata quell'enorme tela di sette metri e mezzo di altezza. Li rivedo storcersi le labbra e sgranare gli occhi; innervosirsi davanti a quell'opera del tutto nuova; rimangiarsi la fiducia accordata a quel giovane pittore, ventisette anni appena compiuti, un certo Tiziano proveniente da un paesino del Cadore; tentati di venderla all'imperatore, pur di disfarsene. Per fortuna nostra si fermarono, pur non capendo riuscirono ad accogliere l'attualità mai vista di quel dipinto, capolavoro assoluto, la Madonna Assunta in cielo, nella gloriosa chiesa di Santa Maria dei Frari di Venezia. Per la prima volta nell'arte, Tiziano aveva dipinto Maria come un corpo, un corpo fisico e toccabile, un corpo con un peso tra cielo e terra; la rivoluzione e il genio di quel dipinto stanno nell'aver osato uscire da un corpo senza dimensione, tipico delle icone bizantine, e darne invece materia, pienezza e volume.
Oggi è la festa del corpo: Maria assunta in Cielo nella pienezza del suo corpo. Quel corpo che è stato tempio di Dio, arca per un bambino fatto carne per tutti noi, giardino silenzioso, ora è corpo glorioso. Chi di noi vorrebbe vivere in Paradiso con il proprio corpo? Abitare l'eternità con questo corpo: sempre imperfetto, sempre fragile, sempre limite; questo corpo che non regge il confronto con altri corpi, questo corpo con cui siamo in conflitto, questo corpo destinato a ritornare piccola cosa, polvere. Eppure, se io conosco la realtà, se io so amare, se io sono al mondo, se io prego, se io vivo un gesto umano, lo faccio proprio grazie a questo mio corpo. Una deriva del cristianesimo ha portato tante volte a disprezzarlo, in nome dell'anima: abbiamo ripetuto quello che Platone, che i pagani, dicevano: che il corpo è la tomba dell'anima, che il Paradiso è finalmente un'anima libera dalle tentazioni del corpo. Oggi, in questo giorno di festa del corpo, tengo per me quello che invece santa Maria mi suggerisce: che il corpo è Tempio, casa ospitale di Dio e dell'anima. Da tomba a Tempio: cambia completamente la prospettiva; quando è tomba, posso calpestare i corpi, mio e altrui; ma quando è tempio, sono chiamato al rispetto; quando è tomba, posso non ascoltare quello che il corpo mi dice, ma quando è tempio sono chiamato a darne onore e bellezza. Una vita e una fede senza corpo, disincarnati, sono una vita e una fede senza relazione, né con noi stessi, né con gli altri, né con Dio; una vita e una fede disumane. Tutti abbiamo bisogno di un corpo, di una carezza, di un incontro: il corpo è l'alfabeto che mi fa parlare la vita. Lei, come ogni madre, sa guardare avanti e in profondità: ci chiede se abbiamo mangiato, ci vede sciupati; il colletto sgualcito le indica che non ci stiamo prendendo cura; dal passo con cui siamo entrati in casa, comprende se abbiamo qualcosa che ci rattrista; nel volto, ascolta tutto quello che le parole non dicono. Lei, Maria, ci narra del corpo come nostra resurrezione. Oggi è una festa grande, una festa immensa: è la festa della riconciliazione con i nostri corpi.
Oggi è la festa di uno sguardo. Quel dipinto di Tiziano ha usato i colori più belli che mai si potessero usare: il rosso tiziano per i corpi, il blu e i grigi per il Dio nascosto, i gialli ocra, la luce gentile e forte per l'aria. In quel dipinto sta l'ora blu dei fotografi, quando il colore riempie lo spazio appena prima dell'alba o subito dopo il tramonto. L'ora blu della luce. Una parrocchiana mi ha chiesto se non mi intristisco per il numero immane di funerali celebrati in questo tempo, istantanea di un'Italia che sta velocemente scomparendo, fotografia di un futuro statistico incerto. Non mi intristisco, le ho risposto: ne avrei motivo, ma per me vivere un momento di confine come la morte, è vivere con la prospettiva della Pasqua anche un funerale. Non una lastra tombale che tutto ammutisce, ma il vuoto e la domanda per un qualcosa che continua, il testamento spirituale, la comunione in Dio con i nostri cari, una bellissima carovana di vita, anche dopo la vita. Sorella morte, parte di noi, ma che va oltre noi. Oggi è una festa grande, una festa immensa: è la festa che allarga i nostri sguardi come un mattino di Pasqua. Lei, come ogni madre, sa guardare avanti e in profondità: ci rassicura con una carezza materna quando il buio fa paura, il suo dolce canto ci addormenta sereni e sicuri, i suoi occhi li ritroveremo appena risvegliati. «Fu trapiantato in lei l'albero e la luce, il pesce dell'immanenza, il Dio secolare, ambrosia di tutte le genti. Benedite la tenera ancella di Dio e la sua signoria. Ella diventerà la regina, la regina dei cieli, ella diventerà il manto secolare che coprirà di gioia gli umani» (Alda Merini, Magnificat, 2002). Come ogni madre, è andata avanti e in profondità della vita.