Omelia (18-08-2024) |
don Giacomo Falco Brini |
Carne della sua carne Siamo nel nucleo più profondo del capitolo 6 del vangelo di Giovanni, il discorso di Gesù sul pane. Nel testo odierno il suo linguaggio diventa sempre più assoluto. Gesù fa delle affermazioni che scandalizzano i Giudei, ma non solo costoro. Domenica prossima vedremo che anche molti discepoli rimasero talmente scandalizzati da decidere di non seguirlo più. Quando c'è di mezzo il mistero dell'incarnazione il cristianesimo si rivela sempre uno scandalo insormontabile, religiosamente parlando. Ed è proprio il mistero dell'incarnazione che oggi prende il sopravvento nel dialogo tra Gesù e i Giudei. Il tema è scottante: come è possibile - si chiedono i Giudei - che Gesù ci dia la sua carne da mangiare? Da notare che Gesù sta parlando a gente che nella propria dottrina osserva: non mangerete sangue di alcuna specie di essere vivente, perché il sangue è la vita d'ogni carne (Lv 17,14). Eppure le parole più ricorrenti sono proprio "carne e sangue" e "mangiare e bere", dunque è evidente il riferimento eucaristico. Gesù è pane per noi con la sua parola, ma lo è anche sacramentalmente nel pane e nel vino offerti nella messa. Per noi cristiani nutrirci di Gesù "fa la differenza" nella vita: chi mangia Lui, chi cioè fa di Gesù il suo cibo, nella parola e nell'eucarestia, entra nel mondo di Dio per suo generosissimo dono. L'uomo mangia per vivere, ma mangia normalmente cose che non reggono alla prova della morte. Ma se mangia Gesù pane vivo disceso dal cielo, entra in un'altra dimensione, vivrà in eterno - dice Gesù, cioè farà già nel presente l'esperienza di una vita diversa che sconfinerà dallo spazio e dal tempo oltrepassando la morte, appunto perché è un pane che viene dal cielo, non è come quello che mangiarono i padri e poi morirono. Chi accoglie l'invito di Gesù nel mangiarlo, rimane in Lui. E questo vuol dire che il sogno di Dio è di rimanere con noi, perché - dice - la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. C'è dunque un banchetto offerto da Dio all'interno del quale avviene il dono incommensurabile di entrare a contatto e vivere una comunione di vita con Lui. Non abbiamo in noi stessi la vita, ma per il mistero della comunione eucaristica riceviamo la vita divina, immortale: come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Dunque è nel sacramento dell'eucarestia che il mistero dell'incarnazione trova il suo culmine. Infatti, mangiare e bere la carne e il sangue di Cristo non significa solamente credere nella presenza reale del Signore nel pane eucaristico, suo dono d'amore. Significa sapersi porre in sintonia con esso e prolungarlo nella propria vita. È nella nostra carne che si prolunga il mistero di Cristo, è nella nostra concreta umanità che si deve poter toccare il Signore. C'è un legame profondo tra eucarestia e vita, e non una vita qualsiasi: chi mangia l'eucarestia afferma implicitamente di voler vivere per Gesù, di voler camminare alla sua sequela, di voler imparare l'arte di donarsi per amore degli altri, di voler condividere il suo stesso destino. Non c'è che dire, credere in tutto ciò dà i brividi. Ma dona anche di gustare l'esperienza tangibile di una relazione intima con il Signore, che vuole regalarci tutto ciò che il nostro cuore cerca: gioia, pace, amore, sapienza ecc. ecc. Come afferma pure il libro dei Proverbi nella 1a lettura di oggi, con un linguaggio profeticamente eucaristico: venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate l'inesperienza e vivrete. Chiediamo al Signore la grazia di accogliere e vivere con profonda gratitudine ogni eucarestia, per diventare carne della sua carne e sangue del suo sangue. |