Omelia (18-08-2024)
don Andrea Varliero
Elogio del tedio

Quattro settimane in altipiano, quattro domeniche lungo il sentiero del discorso del Pane della Vita, il sesto capitolo del Vangelo secondo Giovanni, il cuore del quarto Vangelo. Giovanni, diversamente dagli altri tre evangelisti, non narra dell'Eucarestia nell'Ultima Cena, vive quella sera come lavanda dei piedi; non ce n'è bisogno, il cuore del suo Vangelo sta nel segno del Pane. «Date voi stessi loro da mangiare», ceste piene di pane avanzato grazie alla generosità di un ragazzo che ha condiviso cinque pani d'orzo e due pesci: vogliono farlo Re. «Procuratevi un pane che rimanga per la vita», un Pane che abbia il sapore di una Parola eterna: non lo comprendono. «Io sono il Pane disceso dal Cielo», atomo dell'intero universo: mormorano e dicono «ormai ti conosco». «Mangiate la mia carne, bevete il mio sangue»: digrignano i denti e si incattiviscono, vogliono farlo fuori. Impossibile bere il sangue di un essere vivente, nel sangue scorre la vita e la vita appartiene unicamente a Dio, così giustamente pensano coloro che hanno interiorizzato la Legge del Signore. Il Pane della Vita è un altipiano che, mentre lo attraversiamo, rivela un qualcosa di tipico a tutti noi: l'entusiasmo dell'aver iniziato un cammino cede il passo all'incertezza, l'incertezza si tramuta in stanchezza e mormorazione, la mormorazione esplode nella rabbia e nel rifiuto. "Da novello è tutto bello", poi con l'andare del tempo tutto si affievolisce, se non che ci si rivolta contro; così in comunità, così in famiglia, così nella Chiesa, così nel lavoro.
La noia, il tedio, la fatica quotidiana a trovare sempre nuovi stimoli, a ritrovare le sorgenti interiori a dover ripetere ogni giorno le stesse mansioni, a incontrare le stesse persone, a vivere la stessa liturgia di domenica in domenica. I nostri giorni, questi giorni, sono un continuo effetto «wow», tutto deve essere sopra le righe, velocissimo, tutto deve distrarre, altrimenti cambiamo canale, antidoto contro la noia. Anche in campo spirituale viviamo una continua ricerca di esperienze forti, che scuotano. Il pane di oggi mi indica invece un elogio della noia, fondamentale per tutti noi. Ho visto i nostri ragazzi in questo tempo estivo ritrovarsi felici, distendersi nel volto, recuperare i rapporti umani, sentirsi stimolati nelle parole e nella fantasia, grazie ai tempi morti, grazie alla noia. Dove tutto è strutturato, dove non è concesso annoiarsi, non c'è più spazio né per la creatività, né per la crescita dei propri valori, né per amare. L'ansia dei genitori non permette la noia, ma così non permette neppure di crescere. Senza noia, rimane solo la patina dell'innamoramento: l'amore, per essere tale, ha urgenza di noia, di quotidianità.
Che tedio! Parola straordinaria, «tedio» è la contrazione di «Te Deum», della lunga preghiera di ringraziamento che sembra non finire mai, melodia monotona monocorde. La Messa è noiosa, è un tedio: ragazzo, ringrazia e gioisci di questo perché, se elimini la noia dalla tua vita, elimini la fatica dello studio, gli allenamenti che ti spingono un po' più oltre, grazie alla noia comprendi finalmente la persona che hai accanto, grazie alla noia sai trovare ispirazione in te stesso, grazie alla noia puoi finalmente entrare nella camera più difficile da varcare, te stesso. Colui che mangia me, vivrà per me: un Dio che si lascia mangiare, quotidianamente, un Dio che ha il sapore tedioso del Pane, necessario a dare sapore ad ogni attimo.
La Sapienza antica, che abbiamo ascoltato nella prima lettura, è una splendida donna, che invita tutti ad una tavola imbandita di pane da lei preparato e di vino di festa da lei filtrato. Donna Sapienza non è un accumulo ingordo di sapere, ma è un intenso sapore: mi dona tantissimo questa prospettiva. All'ansia di comprendere e incasellare tutto, alla preoccupazione e alla paura, al fiume di informazioni ogni giorno accolte, donna Sapienza mi risponde con un prendermi cura e un gustare. Dio non è sempre chiaro, né è sempre da chiarire: non è spiegabile, né analizzabile, del resto come la vita. Dio è tuttavia sempre da gustare, sempre da mangiare, sempre da lasciar entrare in me, perché io possa diventare come Lui. Un filosofo che aveva frequentato corsi di teologia, diventato critico verso la religione, ha scritto: «L'uomo è ciò che mangia». Come dargli torto: siamo fatti di ciò di cui noi ci nutriamo. Se noi ci nutriamo di Dio, diventiamo come Dio. Un Dio buono come il Pane, perché anche noi possiamo passare in questa terra come pezzi di pane. L'uomo è ciò che mangia: chi mi sta nutrendo? Chi sto nutrendo?