Omelia (12-02-2006)
don Roberto Rossi
Se vuoi, puoi guarirmi

Le letture di oggi ci parlano di lebbrosi. La prima riporta la legislazione mosaica molto dura e molto emarginante per i lebbrosi. Certamente erano norme e precauzioni perché la malattia non si estendesse. Il vangelo riporta l'incontro di Gesù con un lebbroso (ne incontrerà altri)
che lo supplica. Gesù toglie il marchio dell'emarginazione, compie il miracolo della guarigione, esprime tutta la grazia e la potenza della
salvezza che è venuto a portare nel mondo.

Vediamo le espressioni del testo di Marco. "Venne a Gesù un lebbroso, lo supplicava in ginocchio": certamente aveva sentito parlare di Lui, di quello che compiva a favore dei malati e allora gli rivolge una preghiera ispirata a grandissima fede. Diceva: "Se vuoi, puoi guarirmi": crede nel suo cuore che Gesù è il Signore e può compiere quella guarigione che nessuno poteva dare. Afferma che basta una sua parola.

Gesù si è fatto uomo e vive la sua missione proprio per farsi vicino e prossimo di tutti quelli che hanno più bisogno, che sono più emarginati, più disprezzati. Manifesta così la sua bontà e il senso della sua missione. Dirà: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati, io sono venuto a salvare i peccatori". Davanti a quel lebbroso di mosse a compassione e fece ciò che non si poteva fare: "stese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, guarisci!" Gesù non ha paura, lo accoglie, lo tocca, non mantiene nessuna distanza o emarginazione, lo tratta da vera persona. E pronuncia quelle stesse parole che erano fede grande nel lebbroso e che sono portatrici della potenza di Dio, quando sono pronunciate da Gesù. Gesù prova compassione per la sofferenza del lebbroso è proprio questo sentimento che gli fa compiere il gesto proibito: stende la sua mano e lo tocca. Un gesto del tutto naturale quando il cuore vuole mostrare una vicinanza di affetto: l'amore non si può
certo manifestare a distanza, irrigiditi dalla paura! In quel gesto c'è tutto Gesù, c'è la sua missione, c'è il suo dono. Egli è venuto proprio per questo: per toccarci, per farci percepire da vicino la sua misericordia, la sua bontà, la sua grazia. Egli è venuto per condividere i nostri mali, le nostre pene, le nostre ferite.

Poi ammonisce il lebbroso guarito di non dir nulla a nessuno, perché sa che diventerà motivo di persecuzione in chi non vuol credere; gli dice di presentarsi ai sacerdoti perché constatino la guarigione e lo riammettano alla vita della comunità. A ben pensarci proprio lui, che ha «toccato» la sofferenza, la malattia, gli handicap di tanta gente, resterà «toccato»
dall'odio, dalla cattiveria e il suo corpo che ha rialzato, guarito, ridato fiducia e speranza, verrà anch'esso sfigurato dal dolore, dall'angoscia, dalle percosse, dall'agonia. In fondo è proprio questa la strada dell'amore: strada quotidiana, ma costellata da tanti gesti e tante parole di bontà. Non ci sorprende che il guarito invece cominci a proclamare e divulgare il fatto.

Il lebbroso viene guarito ed è invitato al silenzio, perché Gesù non vuol passare per un guaritore. E tuttavia quest'uomo non può tacere. Così proclama e divulga il fatto, lo racconta a tutti quelli che incontra. Il lebbroso, l'immondo, l'impuro diventa «apostolo». Capiterà qualcosa di simile anche il giorno di Pasqua quando la prima ad annunciare la risurrezione di Gesù sarà proprio Maria di Magdala, la donna a cui Gesù aveva cambiato il cuore dopo un'esistenza travagliata.

Straordinariamente bello questo Vangelo, che ci mostra un Gesù pieno di compassione verso i nostri drammi. Ma anche consolante perché mostra come tutti, proprio tutti, possano diventare annunciatori di Gesù. Non solo quelli che hanno un passato specchiato, una competenza singolare, non solo quelli immuni da sbagli... Se un lebbroso guarito può portare la bella
notizia, non c'è nessuno che - dopo essere stato sanato da Gesù - possa considerarsi indegno di diventare suo messaggero! Il lebbroso dimostra che quando uno fa un'esperienza del genere non può tenerla per sé, la comunica e coinvolge nella sua gioia e nella sua meraviglia.

Questo avviene di fronte a tutte le opere del Signore. Abbiamo pregato nel salmo: "La tua salvezza, Signore, mi colma di gioia". E questo si applica a noi che abbiamo avuto una guarigione e una purificazione ben più grande di quella del lebbroso. Per questo chiediamo di vivere la gioia della salvezza. Gesù continua la sua missione. Il lebbroso può rappresentare tutti gli uomini.

Gesù è venuto per cercare ciò che era perduto, cioè il peccatore, l'uomo lontano da Dio.

Gesù vuole guarire tutti, senza escludere nessuno. Possiamo sottolineare questo rapporto di Dio con ogni uomo, sempre pronto anche a fare miracoli, ma l'uomo deve riconoscere che è peccatore, che ha bisogno, che ha sbagliato, che ha intrapreso una strada cattiva.

Occorre avere questa coscienza di sé e rivolgersi nella verità e nell'umiltà al Signore: "Se tu vuoi, puoi guarirmi". Ma riesco a dire questo se so di essere malato, peccatore, bisognoso di salvezza. Forse oggi è diffusa questa nuova lebbra: non si ha il senso del peccato, si è persa la sensibilità verso il peccato. Si vorrebbe far credere che va tutto bene, anche quando le cose sono cattive o contrarie al progetto di Dio ed offensive della dignità umana. Questo lo dobbiamo fare in riferimento a ciascuno dei dieci comandamenti e ai due comandamenti della carità. Se uno non riconosce di essere malato e non va dal medico non potrà guarire, rimane e peggiora nel suo male. Se si vive invece il cammino dell'esame di coscienza, del
riconoscimento della propria situazione, del pentimento, del rivolgersi a Dio implorando il perdono, il Signore ci darà la guarigione del cuore e noi potremo vivere colmi di gioia per la sua salvezza, che diventa la nostra vera vita e la nostra piena realizzazione.