Omelia (25-08-2024) |
don Giacomo Falco Brini |
Solo tu Si conclude il capitolo 6 del vangelo di Giovanni, il discorso sul pane di Gesù. E si conclude in un modo per certi versi deludente, anche se alla fine risplende la bella professione di fede di Pietro. Infatti molti discepoli mormorano sul linguaggio di Gesù, definendolo duro e difficile da accettare. Dopo di che c'è una dimissione generale che sconcerta. Non possiamo certo biasimarli. Forse che leggendo le parole di Gesù nel vangelo non hanno a volte risuonato allo stesso modo nelle nostre orecchie? Le esigenze del vangelo ci fanno percepire talvolta il linguaggio del Signore "duro" e difficile da vivere. E in realtà lo è veramente. Eppure ogni parola di Gesù è spirito e vita per l'uomo. Dove sta l'inghippo? Forse pensare che il dono della fede non debba comportare fatica, dubbi, pensare che la fede debba essere una via accomodante e rassicurante, che mette al sicuro tutto ciò a cui noi teniamo. E così la "durezza" del linguaggio diventa motivo di incredulità. Invece la fede è prima di tutto il dono che il Padre ci fa per scoprire, nella relazione con Gesù, il segreto della vita: per questo vi ho detto che nessuno può venire a me se non gli è concesso dal Padre. Ma cosa è stato "duro" e difficile da accettare nelle parole di Gesù per la folla, i Giudei e anche per molti dei discepoli, e perché giungono ad abbandonarlo? Certamente non solo quanto detto circa la presenza sacramentale nel pane e vino dell'eucarestia, presenza giudicata impossibile. È proprio tutto ciò che Gesù ha detto nel cap. 6 che è causa dell'incredulità di tanti. L'offerta della salvezza per una via che supera le corte attese del popolo, la stessa identità di Gesù, figlio di Dio nella persona del "figlio del falegname" che essi conoscono, e soprattutto la necessità di condividere la propria vita in dono come fa Gesù con noi. Tutto questo è il discorso difficile da capire e ancor più da praticare. Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro. Il verbo indica proprio l'arrestarsi della sequela, il tornare alla vita di prima per mancanza di fiducia nel Signore Gesù. Camminare dietro a Gesù, significa rendere sempre più intima la relazione con Lui, conoscerlo sempre di più, trovare sempre più ragioni per investire sul Signore la propria vita. Non significa capirlo immediatamente, né giungere in ogni caso a capirlo. Significa giungere alla fiducia in quello che ci dice. Perciò le parole di oggi pongono un accento fondamentale sulla grazia. L'uomo da se stesso non solo non può darsi la vita ma nemmeno può darsi la fede: è lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla. L'uomo è impotente ad aprirsi un orizzonte di vita che lo trascenda. Solo lo Spirito Santo può farlo aprire per rinascere e credere nella vita eterna. Ma per ricevere questo dono dallo Spirito deve accettare la propria radicale povertà, deve rinunciare a volersi salvare da solo e a voler capire il Signore prima di credergli. Cosa non affatto scontata. Tuttavia, sebbene l'incredulità raggiunga anche la cerchia dei discepoli, la domanda che Gesù rivolge a quelli che condividono più da vicino la sua esistenza, fa manifestare la fede sincera che li sta muovendo: Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio. Pietro a nome dei dodici rivela quello che sta avvenendo nei loro cuori. È vero, seguire Gesù non è facile e talvolta è anche duro. Pietro e gli altri undici sicuramente non hanno compreso Gesù più di chi lo abbandona, ma in loro il fascino della sua persona, la speranza e le promesse contenute nelle sue parole sono più forti di ogni avversità e incomprensione. Gesù è l'unico Salvatore, l'unico a cui si possono affidare i propri sogni e speranze di vita senza timore di rimanere delusi. |