Omelia (25-08-2024) |
diac. Vito Calella |
Due sostegni per superare due difficoltà nel servire il Signore È encomiabile la scelta di Giosuè e degli anziani di tutte le tribù d'Israele di «servire il Signore» (Gs 24,15b.18b), rifiutando ogni tipo di idolatria. Pensando alla testimonianza di Giosuè, che porta lo stesso nome di "Gesù", come vorremmo vedere le nostre famiglie cristiane unite, dove tutti i suoi membri partecipano alla celebrazione del "giorno del Signore": «Quanto a me e alla mia famiglia, noi serviremo il Signore» (Gs 24,15b). Accogliamo con gioia e gratitudine anche la confessione dell'apostolo Pietro, che rivela la sua scelta fondamentale di vita: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68-69). Non basta la buona volontà per proclamare parole così belle, perché «tra il "dire" e il "fare" c'è in mezzo il mare!». È difficile prasticare ciò che confessiamo con la bocca! È difficile essere coerenti tra la nostra disponibilità a «servire il Signore» e la tentazione di servire altri dei. Le idolatrie del tempo presente sono più potenti e allettanti degli idoli delle religioni pagane dei popoli della Mesopotamia, degli Amorrei e di altri popoli, che convivevano con le tribù del popolo d'Israele. Innanzitutto viene l'idolo del "denaro", che diventa il fulcro centrale nella vita di tante persone, anche cristiani che hanno già celebrato i sacramenti dell'iniziazione cristiana. In secondo luogo viene l'idolo dell'"individualismo", dove l'"io" è soprattutto: i miei progetti, le mie idee, la mia interpretazione di ciò che è bene e male, la fiducia nella mia libertà assoluta, la mia fama, la ricerca di un riconoscimento sui social media. Ciascuno, quindi, decide la propria religione, la propria vita spirituale, il proprio modo di partecipare e di appartenere ad una comunità cristiana e le famiglie diventano "alberghi" che accolgono individui soli, sempre più incapaci di condividere la vita e il dialogo. Al terzo posto c'è l'idolo della "conoscenza tecnico-scientifica" applicata agli investimenti nell'agroalimentare e nelle imprese del mondo del lavoro e della finanza; In quarto luogo, si sta affermando l'idolo dell'"intelligenza artificiale", che apparentemente viene in aiuto alle esigenze dell'uomo nella ricerca di soluzioni rapide e sicure; ma questo idolo arriva ad annullare la capacità di creatività, di pensiero, di riflessione e di produzione di chi si dona completamente alle sue "applicazioni pratiche" È difficile essere coerenti tra la nostra buona volontà di «servire il Signore» e l'accoglienza delle dure esigenze delle parole del Signore, pur sapendo che sono «Spirito e vita» (Gv 6,63b) e «parole di vita eterna» (Gv 6,68). È troppo difficile accogliere la proposta dell'opzione fondamentale dell'«obbedienza», della «sottomissione», come abbiamo sentito dalla visione teologica della famiglia secondo l'autore della lettera agli Efesini. Animato dallo Spirito Santo, riconosce che Gesù è stato sempre sottomesso a Dio Padre, pur essendo «Figlio di Dio, il Santo di Dio», di natura divina come Dio Padre: ma c'è un rapporto di sottomissione. La Chiesa è soggetta a Cristo, poiché noi siamo membra del suo corpo e Lui solo ne è il capo. Così, il marito ama la moglie nello stesso modo in cui Cristo ama la sua Chiesa, e la donna accetta un rapporto di sottomissione al marito. I figli accettano un rapporto di sottomissione ai genitori e obbediscono loro, sapendo che, in nome della gratuità dell'amore, i genitori rispettano i figli e non esercitano su di loro un potere oppressivo. Poiché esiste un rapporto di comunione indissolubile tra Cristo e la sua Chiesa, sua sposa, i coniugi sono chiamati a perseverare nel progetto di un rapporto di comunione indissolubile, dove i due, nel matrimonio, diventano una carne sola, secondo il disegno divino, già annunciato nel secondo racconto della creazione in Gn 2,24, citato in Ef 6,31. È troppo difficile accettare le parole scandalose di Gesù, che, al termine del suo discorso su di Lui, «Pane della vita disceso dal cielo», dice: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me» (6,53-57). Gli ascoltatori non riuscivano a comprendere quel linguaggio in cui Gesù offriva il proprio corpo e il proprio sangue come cibo e bevanda. Bisognava attendere la cena pasquale e il compimento della sua passione, morte e risurrezione, per comprendere il senso di quelle scandalose parole. Nemmeno i dodici apostoli potevano capire. Ci volle il coraggio di Pietro nel dare un voto di fiducia a Gesù, dopo che tutti gli ascoltatori se ne furono andati, criticando la durezza delle parole di Gesù. Non basta la buona volontà umana per «servire veramente il Signore», individualmente o insieme, come famiglia naturale e come famiglia ecclesiale. Il sostegno essenziale dell'azione dello Spirito Santo per servire il Signore Gesù ci dice: «È lo Spirito che dà la vita e la carne non giova a nulla» (Gv 6,63a). «La carne non giova a nulla», cioè l'esclusiva iniziativa umana non fa altro che farci sperimentare il fallimento delle nostre buone intenzioni di conversione. Non riusciamo a liberarci dalle nostre dipendenze, nevrosi e cattive abitudini, a causa degli innumerevoli condizionamenti psicologici derivanti dalla storia delle nostre relazioni e dalle influenze della cultura dominante di questo mondo, che è sempre più competitiva, individualista, materialista ed edonistica. «È lo Spirito che dà la vita», cioè la presenza della gratuità dell'amore divino è forza di liberazione, è luce di speranza. Invocando incessantemente lo Spirito Santo, siamo spinti a cercare forza e pace nell'incontro orante con la Parola di Dio. Al momento opportuno, quando dobbiamo prendere delle decisioni, i versetti biblici, custoditi nella mente e nel cuore, diventano «luce sul cammino della nostra vita» (Sal 119,105). L'incontro orante con la Parola di Dio ci aiuta a centrare la nostra vita sul mistero della morte e risurrezione di Gesù e a sperimentare la forza trasformatrice dei sacramenti, soprattutto dell'Eucaristia, che è il più importante di tutti. Il sostegno essenziale della concessione del Padre per poter servire il Signore Gesù ci dice: «Per questo vi ho detto: nessuno può venire a me se non gli è dato dal Padre» (Gv 6,65). L'incontro orante con la Parola di Dio e la scoperta della forza liberatrice dei sacramenti ci aprono a valorizzare sempre più l'azione provvidente di Dio Padre, che non abbandona mai i suoi amati figli, soprattutto quelli più smarriti e schiavizzati in complesse situazioni di conflitti relazionali e sofferenze esistenziali. Quella fragile fiducia che diamo alla Parola di Dio e ai sacramenti, soprattutto all'Eucaristia, ci rende «giusti», e non più «malfattori», secondo la preghiera del Salmo 33. Possiamo finalmente guardare con occhi diversi la nostra vita quotidiana, perché scopriamo l'azione provvidente di Dio Padre, che viene in nostro aiuto inviando persone, beni materiali e altre forme di aiuto, al momento giusto e nel posto giusto. Questi interventi provvidenziali sono come "angeli" e ci guidano attraverso una vera esperienza di conversione. Allora ci sentiamo eternamente amati e abbracciati dalla misericordia e dalla fedeltà di Dio Padre. Per Cristo, con Cristo e in Cristo, nell'unità dello Spirito Santo sperimentiamo la vita piena, perché Dio Padre veramente «ascolta le nostre inquietudini e ci libera, rimane vicino a noi, quando abbiamo cuore spezzato, e salva il nostro spirito affranto e depresso». |