Omelia (24-08-2024) |
don Andrea Varliero |
Dalla pelle alla luce Dalla pelle alla luce. Festa di San Bartolomeo Nel 2022 Torino spiritualità ha dedicato un intero festival, coniugandolo con meditazioni, tavole rotonde, espressioni artistiche, sulla pelle: «Pelle. La superficie profonda». La pelle, la parte più superficiale di noi, in realtà narra tutto ciò che abita dentro di noi. Grazie alla pelle i nostri organi respirano, manifestano i loro malesseri, i pensieri e le paure emergono e si inscrivono sulla nostra pelle. La pelle arrossisce, rabbrividisce, sbianca, non riesce a nascondere né trattenere le emozioni. Sulla pelle sono scritte le pagine della nostra vita, i segni delle rughe e delle lacrime, la pelle ricorda quella caduta vissuta da bambino o quell'operazione in sala operatoria. La nostra pelle è il diario. Qualcuno, con un tatuaggio, ha voluto fissare anche una data, un nome, un segno su quel diario. La rabbina francese Delphine Horvilleur ha scritto un saggio, Nudità e pudore, soffermandosi su un particolare che ascoltiamo in Genesi, dopo la caduta di Adamo ed Eva: «Il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e le vestì» (Gen 3,22). Un gesto di cura quasi materno, prima che l'umanità affrontasse la vita fuori dal Paradiso: Dio che copre con tuniche Adamo ed Eva per il loro viaggio disperato. Secondo alcuni mistici questa tunica è la pelle stessa: in Paradiso l'umanità è a-dermica, senza pelle; ma qui, nel mondo, ha bisogno di una tunica di pelle, di un confine, di una frontiera, tra il dentro e il fuori. In Paradiso l'umanità è luminosa, senza pelle, ma qui in terra è opaca, con la pelle ispessita. La pelle di un bambino è morbida e delicata; quella di un anziano è di carta velina, ma in un adulto la pelle si fa spessa e callosa. Più la pelle si incallisce, più diventa una corazza, una difesa contro la vita. Siamo abituati a pensare che la pelle sia la parte più superficiale di noi e proprio per questo sembra rimanere fuori al vissuto interiore di ognuno. Ma se così non fosse? Se la pelle fosse invece il punto di congiunzione tra l'esterno e l'interno di ognuno? Un poeta, Paul Valery, ha scritto che non ci sarebbe nulla nell'uomo, di più profondo della pelle: è nel confine estremo che scopriamo ciò che siamo, perché è lì sulla superficie che le cose si espongono alla luce. Oggi festeggiamo un uomo che ha subito il martirio proprio sulla pelle: gli è stata tolta. Statue meravigliose di San Bartolomeo sul Duomo di Milano narrano di dettagli anatomici di un corpo senza pelle; nel Giudizio Universale Michelangelo si immedesima talmente tanto in San Bartolomeo da dipingere nella pelle del santo il proprio ritratto. Un po' per dire che l'artista nel donarsi a noi nella sua opera pittorica, ha donato davvero tutto di se stesso, spogliandosi e rimanendo senza pelle. Bartolomeo senza pelle ci indica qualcosa di spirituale: la sua pelle aveva già incontrato il Maestro. La sua pelle ha rabbrividito quando si è sentito chiamare per nome «Natanaele!». Sentirci chiamare per nome, è l'esperienza di amicizia più bella che possiamo vivere, sentirci riconosciuti. La pelle, che per prima si è ricordata di quell'incontro a inizio del Vangelo di Giovanni, per prima lo ha rivissuto sul lago di Tiberiade una sera. Quella sera senza senso di pesca andata a vuoto, ascoltare una voce e riconoscere Gesù Risorto, riconoscerlo a pelle. La pelle di Bartolomeo è dialogo di fede con il Maestro e il Risorto. Paradossalmente, non ha più bisogno di pelle, non ha più bisogno di frontiera: ora è interamente in Lui, ora è testimone della sua Resurrezione. Bartolomeo senza pelle è luce, non ha più opacità. Che la fede sia un fatto di pelle, ce lo indica Bartolomeo: la fede è una carezza, la nostra vita è iniziata con una carezza di una madre e speriamo termini con una carezza a noi vicina. Che la fede sia un fatto di tatto, ce lo indica Bartolomeo. Una piccola proposta spirituale grazie a lui: ricordarci di avere sempre «tatto» in noi e attorno a noi, ricordarci di accarezzare, ricordarci di vivere a pelle la fede |