Omelia (12-02-2006)
mons. Antonio Riboldi
Se vuoi, puoi guarirmi

Quando ero giovane mi appassionavo nel leggere la vita di quel grande missionario, Padre Damiano, che aveva fatto la scelta di vivere appartato dal mondo, in un'isola dove erano confinati i lebbrosi.
Era poca la conoscenza, allora, di questo male, che si riteneva contagioso, e quindi questi malati dovevano vivere "fuori" dalla società, il più lontano possibile. Ed era come un morire doppiamente: morire per una malattia che oggi si può guarire facilmente e non contagia, come si è abituati a credere e morire emarginati. Poi venne quel grande apostolo dei lebbrosi che fu Follereau, che si fece apostolo tra di loro e si battè con tutte le forze per "guarire la nostra lebbra" che era ed è l'emarginare.
E ci vuole poco. Voglio ricordare un fatto che lo riguarda. Si dice che un giorno, visitando uno dei luoghi dove vivevano segregati i lebbrosi, accorgendosi di essere tra loro a mani vuote, perché tutto quello che possedeva lo aveva speso in altri lebbrosari. si scusò dicendo: "Ho le mani vuote...ma il cuore è pieno di voi e tornerò". I lebbrosi non si offesero. Si adunarono un attimo e poi si accostarono a Follereau. Uno di loro disse: "Siamo felici che lei sia qui. E tanto. E sappiamo che ci ama e questo per noi è la più preziosa medicina; la medicina di sapere che siamo sempre in lei e con lei. Ma le chiediamo un dono: baciarle la mano".
Un dono che subito fu concesso. Dopo un poco di tempo Follereau ricevette una breve lettera da quel lebbrosario in cui si diceva: "Grazie per tutto ciò che fa per noi...e grazie perché ci ha fatto dono di baciarle le mani. Un gesto che conserviamo con gelosia, come un profumo sulle mani, al punto che per giorni, per conservare quel profumo, non ci siamo lavati le mani". Cosa vuol dire amare.
"In quel tempo - racconta Marco - venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi guarirmi". Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, guarisci!" Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: "Guarda di non dire niente a nessuno, ma va' presentati ai sacerdoti e offri per la tua purificazione quello che Mosé ha ordinato, a testimonianza per loro". (Mc 1, 40-45).
Di lebbrosari ce ne sono ancora molti nel mondo e sono sempre là dove regna la povertà e dove la salute è un bene difficile. E tutti sappiamo che la lebbra è un male più che contagioso, repellente. La loro emarginazione, più che per tutelare la nostra salute, è per tutelare la "nostra rispettabilità".
Da qui il brutto male della emarginazione, che si estende a tanti che, pur non essendo "lebbrosi", costringiamo a vivere da separati in ambienti malsani, cha hanno tanto in comune con i lebbrosari. La cronaca è piena ogni giorno di eventi che scuotono la nostra coscienza, a volte indifferente di fronte a questi mali.
C'è un mondo che non trova un posto alla tavola della vita cui ha diritto come tutti noi. I nostri mezzi di informazione, se ci fate caso, ogni giorno mostrano una Italia che sta bene, dando l'impressione che da noi il benessere regni sovrano e che quindi da noi possono trovare quello che a loro è negato, il più delle volte dal nostro egoismo. E allora si adattano a vivere, come lebbrosi, ai margini delle nostre città, in baracche o roulotte, autentici "lebbrosari". E' un grande problema di "compassione come quella di Gesù" trovare una strada di solidarietà in modo che tutti, ma proprio tutti, sia pure con la necessaria prudenza, ritrovino dignità e gioia. Dovremmo ricordarci tutti, a cominciare da me, che questi fratelli ora emarginati, tentati di ricorrere alla violenza con le rapine, per "sedere" alla nostra tavola, "domani" saranno davanti a Dio i nostri giudici.
La Chiesa con i centri di accoglienza, che sono una meravigliosa geografia della carità, ha fatto grandi passi ed oggi è la sola speranza di molti. Ma non è sufficiente.
Scrive il Santo Padre nella sua recente enciclica: "Dio è amore": "Il programma del cristiano - il programma del buon Samaritano - il programma di Gesù è un cuore che vede. Questo cuore "vede" dove c'è bisogno di amore e agisce in modo conseguente. Ovviamente alla spontaneità del singolo, deve aggiungersi, quando l'attività caritativa è assunta dalla Chiesa come iniziativa comunitaria, anche la programmazione, la previdenza, la collaborazione con tutte le altre istituzioni simili" ( n. 31, b).
\/iene da chiedersi perché Gesù, una volta guarito il lebbroso, ordina: "Va', presentati al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro".
Questo, perché?
Ai tempi di Mosè il lebbroso era considerato "un impuro" che poteva contagiare gli altri e quindi non poteva partecipare a pieno titolo nella comunità di Israele: ciò comportava il suo allontanamento dal santuario, che era il centro della purità, per la presenza del Santo dei Santi. Toccava al sacerdote allontanare o verificare la guarigione.
E' un poco come la nostra scomunica o se vogliamo quel non poter partecipare alla Comunione nella S. Messa quando si è "lebbrosi" non nella pelle, ma nel cuore. E anche in questo caso è Gesù che libera dalla lebbra attraverso il sacerdote che ha ricevuto da Gesù il potere di ridarci l'integrità dell'anima, con il sacramento della Penitenza, della Misericordia.
Con la differenza che a volte noi trattiamo da "lebbrosi" tanti che, caduti in errori gravi, o presunti tali, vengono allontanati dalla stima e dalla compassione. Basterebbe ricordare coloro che affollano le aule giudiziarie per un processo o per altri atteggiamenti immorali. Sono davvero tanti i "lebbrosi" che non vogliamo a volte neppure incontrare ed evitiamo per esprimere il nostro disprezzo o condanna.
Quanta gente ho incontrato, donne "colte in flagrante adulterio", come nel Vangelo, o uomini caduti dalla onorabilità per fatti illegali, che di colpo ti fanno diventare lebbroso! Tranne poi scoprire a volte che quello che si diceva di loro non era vero.
Manca quello che ebbe Gesù con il lebbroso incontrato e guarito e con tutti quelli convertiti nella storia, ossia la compassione e la misericordia, dono immenso del Signore, che non conosce emarginazioni ma attesa del ritorno del figlio prodigo.
Una giovane donna, schivata da tutti per uno sbaglio "comune", mi descriveva la sua "morte interiore", non solo per quello che per debolezza aveva fatto, ma per questo vivere come se non esistesse o peggio. Mi faceva ricordare ciò che scrisse S. Ilario nel quarto secolo, ossia tanti secoli fa: "Dobbiamo combattere contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga...non ci flagella la schiena, ma ci accarezza la pancia; non ci confisca i beni, dandoci così la vita, ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e inoltrandoci nei palazzi; non ci colpisce il corpo ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l'anima con il danaro e il potere" (Libro contro Costantino).
Questo è anche il nostro mondo che non dovrebbe mai alzare barriere verso chi sbaglia, ma uscire dalla lebbra, che si porta addosso, senza forse saperlo.
Il mio pensiero e affetto oggi va verso i tanti lebbrosi della pelle che potrebbero guarire se trovassero più generosità da parte nostra. E vorrei stringere le loro mani come fece Follereau.
Ancora più vorrei essere vicino ai "lebbrosi" dell'anima, esposti al disprezzo e, invitandoli a tornare alla Casa del Padre, liberati dalla loro lebbra con il "rientrare in se stessi e tornare a casa", mettere le mie braccia al collo per fare sentire tutta la stupenda compassione del Padre che fa festa.
E succede così tutte le volte che ho la fortuna di conoscere una di queste anime, che vorrebbero tornare a respirare la bellezza dell'amore di Dio e nostro. Aiutali, Signore, a guarire!