Omelia (26-08-2024) |
Missionari della Via |
Gesù continua a prendersela con l'ipocrisia di quei "praticanti" che "fanno la parte": non cercano Dio, ma il loro "io". Così facendo, non entrano nel suo regno d'amore e non fanno entrare neanche gli altri. Infatti uno che ha messo al centro il suo io, non lascia regnare Dio nel cuore e non mostra né insegna neanche agli altri a farlo. Se in quanto credenti tutti siamo chiamati ad essere "martiri", cioè testimoni, questo mandato vale ancora di più per i sacerdoti, i consacrati e le consacrate. La gente si aspetta da noi un esempio bello, che parli di Dio, che mostri che è possibile vivere una vita libera da tanti orpelli, volta al dono di sé. La gente ha bisogno di vedere che la fede davvero cambia la vita e libera la vita; la gente ha bisogno di "toccare Dio" attraverso il nostro amore. E quando non lo vede, ci calpesta, proprio come ha detto Gesù nel Vangelo: «se il sale perdesse il suo sapore, a null'altro servirebbe che ad essere gettato e calpestato dalla gente». In particolare, Gesù fa l'esempio di coloro che ritengono l'oro più importante del tempio, perché evidentemente ritengono i soldi più importanti di Dio; potremmo dire che i soldi sono il loro signore, un signore che però li rende schiavi, a differenza del vero Signore che rende liberi. Quanti scandali anche nelle chiese per i soldi: da prezziari ancora presenti, passando per discutibilissime gestioni economiche, fino a riunioni d'affari persino tra sacerdoti, anziché pregare, educare, servire e portare i sacramenti... Ci farà bene interrogarci, specie se vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, ma anche responsabili e collaboratori laici, sulla gestione del denaro nella vita e nelle comunità: possiamo dire che al di sopra di tutto c'è la ricerca per la salvezza delle anime? Che le generosità è la nostra parola d'ordine? Agiamo con gratuità o vogliamo offerte anche per uno "starnuto?" Non è che, giustificandoci con il dover far "quadrare i bilanci", ragioniamo più come imprenditori che non come pastori? Siamo più pronti a dare o a ricevere? «Si può correre il rischio di pensare alla preghiera come a uno scambio di favori: noi facciamo le nostre preghiere per bene, in cambio Dio fa accadere quello che vogliamo. Magari per aumentare l'efficacia offriamo anche qualcos'altro. «Fai in modo che succeda questo, e io in cambio farò questo». O ancora: «se succede questo, io in cambio diventerò più così». È un atteggiamento rischioso, Gesù infatti chiama "guide cieche" coloro che consigliano di comportarsi in questo modo. Come se fosse l'offerta messa sull'altare a determinare l'esito della preghiera, quando invece il protagonista della preghiera non è certo l'offerta, ma l'altare. Qualunque cosa venga dalla preghiera ha come fine la nostra felicità. Se le cose non vanno come vogliamo, non è certo perché non abbiamo pregato abbastanza, ma magari solo perché il Signore sa meglio di tutti che cosa è veramente buono per noi. E di certo non ci chiede di cambiare quello che siamo in cambio di un favore. Non dobbiamo scordarci che Dio ci ama, e ci ama incondizionatamente, proprio così come siamo adesso. E proprio per questo Lui vuole agire per il nostro bene senza chiedere nulla in cambio. La preghiera ci cambierà soltanto se anche quel cambiamento è per il nostro bene» (Pietre vive, Roma). |