Omelia (01-09-2024)
don Andrea Varliero
Vieni, sediamoci insieme, al tavolo dell'umanità

Dopo cinque minuti, hanno ripreso come se niente fosse stato, la testa in sacco sui riti e le abluzioni necessari al lavaggio delle mani, hanno rimesso a soqquadro la casa per lavare tutti i piatti e le stoviglie, per poter celebrare gli azzimi, che nessun lievito o muffa rimanesse dentro le mura. Hanno continuato a trattare il cibo come Kosher o Halal, sacro, a non mescolare carne con latte, a tagliare le carni secondo le norme, a tenere unite igiene e santità; hanno continuato a percepire il Sacro come un qualcosa che non deve essere toccato da mani sporche; che il Sacro ha a che fare con l'ordine, la pulizia, la regola; che il Sacro è una parentesi anestetica separata dalla vita: quella sì che sporca.
Il coraggio di quel rabbino è stato immenso: non ho mai sentito nessuno parlare in quel modo. Nulla che viene da fuori è sporco, nulla che provenga da fuori di te ti contamina, nulla che è fuori di te ti dissacra. Guardati il cuore, lì sta la tua sorgente. «Stai lontano dalle persone che emanano negatività» suggerisce una cultura attuale, «l'inferno sono gli altri» dice lapidario un filosofo, Sartre. Frasi dei nostri giorni, della nostra quotidianità, un continuo difenderci dagli altri, un fiume carsico di ostilità e razzismo mascherati dalla ricerca di benessere personale. Diventa quasi un mantra ossessivo, una devozione senza Dio: proiettare sugli altri quello che non riesco ad accogliere di me. Meccanismo di difesa, la proiezione del male che è dentro di me sui volti che stanno davanti a me. Se ripenso a che cosa mi ha fatto innamorare di una persona, che cosa mi ha spinto alla fiducia dell'amicizia, quelli che erano i suoi pregi sono oggi i suoi peggiori difetti. Quando critico quella persona, quel suo comportamento, quel modo di essere, in realtà non sto facendo altro che narrare di me stesso. Non è l'altro il problema: il vero da convertire e da cambiare sono io, unicamente io, il cuore mio.
Per la prima volta un profeta di novità chiede un qualcosa di inaudito: entra in te stesso. Guarda che il male non è fuori, né accanto, che il male non lo posso vincere lavandomi le mani, ripetendo gesti ossessivi, facendone rituali per placare l'ansia. Il male lo potrò vincere solamente rendendomi conto che abita dentro. Uno dei padri della psicoanalisi, Jung, scrisse: «Non raggiungeremo mai la nostra totalità, se non ci assumiamo l'oscurità che è in noi, poiché non c'è corpo che, nella sua totalità, non proietti un'ombra, e questo non in virtù di certi motivi ragionevoli, bensì perché è sempre stato così e perché tale è il mondo». Fare luce è accogliere il buio che è dentro di me: mi sorprenderò a ritrovarmi né giusto, né amabile, né buono, né positivo, ma cattivo. C'è un mondo «cattivo» che mi abita dentro, e «cattivo» non è malvagio né crudele; cattivo è imprigionato, è in una prigione da cui liberarsi. È possibile.
Non c'è nulla di sporco, non c'è minaccia, non c'è pericolo fuori: tutto parte dal di dentro. Per la prima volta nella civiltà un Maestro parla di consapevolezza, ci fa entrare nella coscienza e nella responsabilità, pone le basi all'analisi e alla libertà interiore, fa del Sacro e di Dio un qualcosa che si sporca le mani con la vita, con noi. Per la prima volta nella civiltà, l'inferno non sono gli altri, il male non è fuori di me, lo sporco non è lontano dal Divino. Eppure, tutti abbiamo continuato tutto come nulla fosse: si sono benedette le armi per andare a combattere i nemici, si sono purificati e hanno compiuto ogni rito prima di insanguinarsi le mani di sangue innocente, hanno seguito le più severe norme religiose, prima del massacro. Devoti di ogni religione, di ogni tempo: ma Dio non sta fuori, l'essenziale viene dal di dentro.
E pensare che tutto è nato mentre si stava preparando un pasto, per condividere una festa di amicizia. C'è una liturgia eucaristica in ogni momento e in ogni latitudine del cosmo, una salsiccia di maiale tedesca e una pelle di foca eschimese, un riso al curry indiano e un sushi giapponese, sono purificati in Lui. Nulla è impuro, nulla è sporco, nulla è lontano: è la più bella tavolata dello Spirito, la festa della Pentecoste che l'evangelista Marco narra in questo banchetto. Ritornare a quel pasto ci è necessario, alla festa di un'umanità libera da ossessioni devote che perdono di vista il senso. Proverò ad ascoltare fino in fondo quel Maestro, magari ne uscirò più sporco di prima, magari correrò il rischio di perdermi, magari perderò una sicurezza che mi sostiene, ma, forse, avrò vissuto la gioia di una vita fraterna, avrò percorso un passo verso Dio comunione. «Omnia munda mundis», tutto è puro per chi opera con retta coscienza, suggerisce fra Cristoforo. Tutto è purificato, se il cuore è riconciliato. Vieni, sediamoci insieme, al tavolo dell'umanità.