Omelia (08-09-2024) |
don Alberto Brignoli |
La vera fede Finalmente, dopo tanti discorsi, il Vangelo torna a parlarci di miracoli. E lo fa in una maniera molto particolare, essenziale, stringata sino all'eccesso. Gesù compie il miracolo della guarigione di un sordomuto pronunciando una sola parola, perdipiù riportataci da Marco nella sua lingua materna: "Effatà!", "Apriti!". Se la narrazione di questo miracolo è descritta in maniera molto essenziale, tuttavia il brano che abbiamo ascoltato è ricchissimo di particolari, e ci mostra in maniera molto chiara l'intenzione da parte di Gesù di far compiere a questo sordomuto (e a noi, suoi discepoli) un cammino: un cammino di fede che diventa annuncio, testimonianza. La storia dell'incontro tra Gesù e questo sordomuto inizia in territorio "straniero", ovvero tra la Fenicia e la parte nord della Galilea: zone senz'altro poco amate dai ligi Giudei osservanti perché fuori dal raggio d'azione della fede. Proprio come capita a molti cristiani, ai quali non va molto l'idea che l'incontro con Cristo, per qualcuno, possa avvenire "in pieno territorio della Decapoli", cioè al di fuori di una chiesa, di un oratorio, di un movimento o di un'associazione ecclesiale... Eppure, è lì che Gesù incontra un sordomuto, uno che non sente, ma soprattutto uno che non parla proprio perché non sente: uno che non riesce per ora ad essere annunciatore della Parola perché questa Parola ancora non la conosce, non l'ha mai ascoltata. Del resto, è un uomo della Decapoli, uno straniero, uno lontano da Dio: ma qui è Dio che si fa prossimo a lui, ed è interessante che i due si avvicinino non perché desiderino incontrarsi, ma perché ci sono delle persone che "portano il sordomuto a Gesù" affinché possa pure lui ascoltare la sua parola. Vuol dire che anche nella Decapoli, allora, c'è gente che crede in Dio, che basa il rapporto d'amicizia con una persona non solo sullo stare bene insieme, ma sul comunicare all'amico le cose che contano e che si sono scoperte come importanti per la vita. Questa è una cosa rara: quanti di noi possono dire di essere veri amici o di avere amici sinceri "sulle cose che contano", in questo caso sulla vita di fede? Gesù gradisce senz'altro questo atteggiamento da parte di gente che all'apparenza è "fuori" dall'appartenenza alla fede, eppure accompagna altri a incontrarsi con lui. C'è, tuttavia, una cosa che Gesù non gradisce, ovvero che l'incontro decisivo avvenga in mezzo alla folla, per cui porta "in disparte" quell'uomo. L'incontro con Cristo non avviene mai sotto la luce dei riflettori o sulla ribalta dei palcoscenici: Cristo lo incontri a tu per tu laddove ti lasci completamente prendere e pervadere da lui, dove ti lasci incontrare e lasci che la tua vita si riempia totalmente di lui, che con il sordomuto fa gesti anche disdicevoli (mette le dita nelle orecchie e tocca la sua bocca con la saliva), gesti attraverso i quali vuole dirci proprio la sua totale condivisione e assimilazione con l'uomo che si trova lontano da lui. Del resto, la fede è qualcosa di profondamente umano, concreto, in carne e ossa: non la si vive adagiati su una nuvoletta svolazzante in aria suonando l'arpa e cantando le lodi di Dio. La fede è vissuta laddove ci "impiastriamo" con la nostra umanità, con il fango, il sudore e la saliva che il Signore è abituato a spalmare su chi vuole guarire (lo stesso fece anche quando guarì il cieco nato). Chiaramente, la dimensione umana della fede non basta: occorre una forza che viene dall'alto, e che l'uomo di fede può ritrovare dentro se stesso, perché Dio è più intimo a noi di noi stessi. Per questo, Gesù guarda verso il cielo ma al tempo stesso "emette un sospiro" dal più profondo di sé, gettando così la forza dello Spirito sull'uomo sordo e muto. La fede è un fatto terreno, carnale, materiale, ma non può stare in piedi, né tanto meno camminare, se non ha dentro la forza dello Spirito: uno Spirito che viene sì dall'alto, ma che dimora dentro di noi e che dobbiamo essere capaci di far emergere, continuamente. E alla fine, questa semplice ma meravigliosa parola: "Apriti"! Ora che hai incontrato Cristo, sciogli le tue labbra e annuncia ciò che Dio ha fatto per te, senza fare baccano, senza clamori, senza che troppa gente lo sappia. Perché la fede vera non ama fare chiasso intorno a sé: solo vuole annunciare e testimoniare con la vita, spesso nel silenzio operoso, ciò che Dio fa per noi. Perché la fede vera è un po' muta: prima di iniziare a parlare deve imparare ad ascoltare, a creare silenzio dentro di noi, e a lasciar parlare Dio. E questa cosa, noi cristiani dobbiamo ancora impararla molto, abituati come siamo a dire tutto su tutti... Perché la fede vera non ha la preoccupazione di invadere e disturbare la vita degli altri, costringendoli a credere: la fede vera prima di tutto invade la tua vita, perché (come dice Isaia nella prima lettura) eri sordo e non potevi ascoltare Dio, eri muto e non potevi parlare con lui, eri zoppo e non potevi camminare verso di lui: Dio, il tuo Dio, è venuto verso di te per salvarti, per dirti "coraggio", per cambiarti la vita! A questo punto, il dono che hai ricevuto è talmente grande che non puoi più tenerlo per te stesso: nemmeno Dio sa come poter fare per contenere la gioia del dono che hai ricevuto, perché più ti proibisce di dirlo a tutti, e più hai il desiderio di raccontare agli altri quello che Dio ha fatto per te. Del resto, la fede non fa proseliti obbligando altri a credere: la fede fa discepoli testimoniando agli altri la gioia del dono che hai ricevuto. |