Omelia (15-09-2024)
don Giacomo Falco Brini
Doveva soffrire molto

Nell'episodio evangelico di questa domenica troviamo la domanda cruciale rivolta da Gesù ai suoi discepoli circa la propria identità. Una domanda declinata nel chiedere quale fosse il pensiero della gente comune sulla sua persona e poi nella richiesta diretta ai suoi su cosa pensassero loro. Teniamo ben presente che fino ad ora il ministero di Gesù ha mietuto un grande successo. Nessun uomo ha mai parlato come Lui (cfr. Gv 7,46) e, nello stesso tempo, nessuno aveva manifestato una tale bontà nell'accogliere tutti e una potenza impressionante nel guarire tantissimi malati e liberare tanti oppressi dal demonio. La persona di Gesù suscitava pertanto tantissimi interrogativi, ma nella risposta dei discepoli alla prima domanda del Signore intuiamo che la gente era molto incerta sulla sua vera identità: chi era davvero Gesù di Nazareth? (cfr. Mc 8,28) Quando però la domanda è rivolta ai discepoli, dalla risposta di Simon Pietro sembrerebbe che tra essi ci fossero solo certezze: tu sei il Cristo - dice Pietro - cioè tu sei il Messia tanto atteso, sei colui che tutto il popolo da secoli attende quale compimento della promessa di Dio di avere un re della stirpe di Davide che doveva anche essere un uomo dalle facoltà straordinarie. Mosso dallo Spirito, Pietro ha centrato la risposta, ma solo nella superficie della parola.
Quando infatti riprende a parlare, Gesù afferma che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto. Notate bene. Dice questo dopo aver raccomandato di non dire a nessuno che egli era il Messia. Il che vuol dire che non rifiutava questo titolo dato dalla confessione di Pietro, ma nell'annunciare la sua passione dice che il Messia è il Figlio dell'uomo. Già in questa espressione che Gesù usava spesso per parlare di se stesso, vediamo operare una sorta di "downgrade" del titolo di Cristo che sconcerta: il Messia, caro Pietro e cari noi tutti che leggiamo oggi il vangelo, è il Figlio dell'uomo che deve soffrire, e soffrire molto. La sofferenza annunciata viene poi quasi specificata: essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso. Unica nota sorprendente ma anch'essa ancora incomprensibile: e dopo tre giorni, risorgere. Che cosa ha detto in sostanza Gesù ai suoi discepoli? Guardate, è proprio così, io sono il Messia, ma non sono il Messia che voi vi aspettate, come tutto il popolo di Israele. Richiamando gli oracoli di Isaia sul Servo di Jahwe, come quello che troviamo oggi nella prima lettura, Gesù annuncia di essere un Messia con una storia di sofferenza, con una missione che approderà al suo obiettivo, ma per una strada assolutamente sofferta, inedita e imprevista.
A questo punto, davanti a un discorso così fatto apertamente, cosa fa Pietro? Prende Gesù in disparte per fargli un discorso breve, ma non apertamente. E si mette a rimproverarlo perché al Messia del suo pensiero non può toccare una sorte così umiliante, piena di sofferenza e priva di successo. Se il Messia deve "fare la storia", come oggi si dice con una faciloneria impressionante, deve essere una storia di successo e di affermazione pubblica evidente. Gesù reagisce a sua volta con un rimprovero deciso e severo che si dirige anche agli altri discepoli presenti: dietro di me satana! Perché tu non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini. Ecco il problema dei problemi. L'uomo ha innatamente un pensiero satanico su Dio, anche se non lo riconosce. Perché il disegno di salvezza di Dio non è il disegno che si fa l'uomo. Nel caso di Gesù, il disegno di Dio è che deve affrontare una passione dolorosa e umiliante che avrà le sue conseguenze positive per tutta l'umanità, ma che non potranno essere ottenute per mezzo di successi e trionfi politici, religiosi o militari.
La parola della Croce non sarà compresa da Pietro e i suoi compagni fino a quando non cadranno davanti ad essa, materializzata davanti ai loro occhi. È sempre così, anche per gli aspiranti discepoli di oggi. A nessuno, per nostra natura, viene di accogliere subito un Dio che va a morire in Croce. A nessuno viene spontaneamente di accettare la via della Croce, ma piuttosto di evitarla, se non addirittura di biasimarla. Eppure in essa c'è il segreto di Dio e della vita. Al punto che è su di essa che si gioca il rapporto personale con Dio e il discepolato. Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua - dice Gesù ai suoi e all'intera folla di presenti. Non obbliga nessuno, ma se c'è qualcuno che vuole seguirlo deve piantarla di fare del suo ego il centro dell'esistenza e deve assumere liberamente la sua parte di sofferenza. Poi a tutti esprime una perenne legge spirituale. Vivere per sempre non consiste nel salvarsi, ma nel perdersi per Gesù e il suo vangelo. Il che vuol dire abbandonare la via dell'egoismo e intraprendere decisamente la via dell'amore vero, che è accettare una sorte difficile e sofferta come quella di Gesù. Da soli, pur animati da buone intenzioni, non ce la si fa. Ma se credo di avere un Dio coinvolto nella mia storia che mi vuol fare dono di seguirlo, allora posso scoprire che la via dell'amore è una vita nuova che è opera di Dio in me. Solo che la scoperta non può avvenire senza sofferenza. E forse è per questo che sono così pochi quelli che seguono Gesù e fanno esperienza di cosa significhi essere salvati da Lui.