Omelia (22-09-2024)
don Michele Cerutti
Il potere logora chi non ce lo ha

Non c'è niente di più semplice che rimuovere i discorsi difficili oppure un'altra tentazione, se quella di eliminare un argomento ostico non riesce, è quello di dare una lettura differente a quella proposta.
Capita così ai discepoli che di Croce, morte non vogliono proprio ascoltare se poi ci unisci la Risurrezione il rischio è l'apoteosi dell'incomprensibile.
Allora come ripiegare tutto ciò? La soluzione viene trovata subito nel sognare il potere e posti di prestigio.
Al discepolo un discorso come quello proposto da Gesù rimane molto stretto e allora occorre correre ai ripari subito per evitare di rimanere proprio senza attaccato niente di questa esperienza che stanno facendo vicino a un Maestro così importante.
Là dove passano le folle si stringono intorno a Gesù in primis e anche a loro e quindi quella popolarità rischia di venire meno.
La fantasia inizia a galoppare immaginando regni surreali perché troppo circoscritti nelle logiche umane.
La scena che si presenta oggi quella di un Gesù che spiega loro a quale missione Lui è destinato ovvero il Calvario.
Tuttavia, mentre proseguono il cammino Gesù sta davanti ai suoi amici che, nel frattempo, un poco distanti riflettono sognando i primi posti in quel Regno di cui il Maestro parla.
Passo in rassegna l'elenco degli apostoli offertoci da Marco stesso qualche passo prima di questo brano.
Vedo Matteo che raccoglieva le imposte per Roma farsi avanti e rivendicare un ruolo di primo piano per le sue conoscenze che ha avuto in certi ambienti, Giuda Iscariota pensa al fatto di essere l'economo e quindi il detentore della cassa, Bartolomeo a cui è stato consegnato la promessa che vedrà cose grandi, Pietro forse sarà il più tranquillo perché a lui è stato consegnato il primato, Simone lo zelota che vuole vedersi riconosciuta una visibilità perché opponendosi a Roma è considerato un rivoluzionario di cui non si può fare a meno, ma poi penso a Giacomo e Giovanni, i due fratelli Zebedeo, figli del tuono che vogliono essere considerati e anzi mandano avanti persino la madre pur di riuscire a raggiungere un posto a destra e sinistra. L'elenco potrebbe andare avanti.
Gesù probabilmente sorride e nello stesso tempo prova sconsolatezza perché quel discorso sulla passione comprende che non si riesce proprio a far passare.
Una modalità ci viene offerta in questa pagina. La reazione nostra potrebbe essere immediata mentre Gesù aspetta fino a quando non arriva a Cafarnao e quindi in casa per fare un richiamo. Aspetta che si rinfreschino, aspetta che siano sazi, aspetta fino a che non sono riposati e allora può chiedere, ma di cosa hanno discusso sulla via?
Teniamo conto che Atti al capitolo 9 afferma che i cristiani venivano chiamati dai Giudei: quelli della via.
Marco sottolineando questo vocabolo vuole dire che Gesù richiama i suoi alla responsabilità della testimonianza.
Su quella strada i discepoli sono guardati dagli altri e osservati anche in quello che dicono.
Quindi con pacatezza, il Maestro, li rimanda ai propri compiti di inviati e quindi di persone chiamate a vivere in pienezza il grande insegnamento del Vangelo che è segnato nella via delle beatitudini.
La logica del servizio diventa la strada che i discepoli sono chiamati a percorrere.
Gesù non è un maestro che offre una semplice lezione, ma vive quello che insegna e occasioni per mostrare loro che si fa servo non mancano.
Quale opportunità migliore se non quella di rendere concreta la lezione delle beatitudini mettendo al centro un bambino e donando loro l'invito a prendere proprio quel fanciullo come modello.
Non infantilismo, ma lasciarsi sorprendere come i bimbi quando li si fidano dei loro genitori sapendo che quello che fanno e insegnano è per il loro bene.
Mettendo al centro il bambino viene messo al centro la responsabilità di accogliere i piccoli della terra.
I discepoli presi nei loro discorsi impregnati di deliri di onnipotenza non hanno avuto nessuna attenzione a tutti quei poveri che si trovano ai margini della via che hanno percorso.
Carissimi è un rischio in cui incorriamo tutti nel momento in cui siamo attenti ai primi posti, alla visibilità mondana.
Quanto male facciamo alla Chiesa quando siamo più preoccupati del nostro sentirci a nostro agio invece di mettere al centro tutti coloro che siamo chiamati ad assistere.
Questo lo si può registrare ad ogni livello. Non c'è ambito in cui il protagonismo non faccia capolino. Oggi il mondo social amplifica tutto questo anche dal punto di vista ecclesiale.
Il tarlo del sentirsi protagonisti ci prende e non ci lascia dobbiamo vincerlo con l'umiltà.
Quando penso a tanti confratelli sacerdoti che non sono diventati Vescovi, Vicari, provinciali o generali, ma si sono messi ai margini lasciando ad altri ambire queste responsabilità, trovo il conforto per il tanto bene che hanno saputo trasmettere senza pretendere ruoli di visibilità.
Questo anche tanti laici che hanno vissuto gli ultimi posti edificando con il loro esempio tante comunità.
Chiedo per me, prima di tutto, questo dono dell'umiltà e estendo questa mia preghiera per tutti coloro che rivestono un ruolo di servizio nella Chiesa.
Il modello è Gesù che è venuto in mezzo a noi, non per farsi servire, ma per servire Lui stesso.