Omelia (22-09-2024)
padre Gian Franco Scarpitta
Il segreto della vera gioia

Gesù non vuole che si sappia in giro che sta percorrendo la Galilea, una regione notoriamente pagana e ostile ai contenuti della fede e della religione. Evidentemente vuole evitare vane conclamazioni nei suoi riguardi da parte della gente, che tende a vedere di lui semplicemente l'uomo dei miracoli, il grandioso fautore di prodigi al quale accorre tantissima gente. Oppure un grande oratore di straordinaria eloquenza, che sollecita le folle all'ascolto. Piuttosto, come lui sta dicendo ai suoi discepoli in un ambito di formazione e di istruzione profonda, la vera messianità di Gesù, la sia vera potenza e il vero trionfo che apporterà sul male e sulla morte, si manifesteranno nella Croce, che sarà per lui la tappa necessaria e irrinunciabile per affermare definitivamente l'amore salvifico e redentivo per tutti gli uomini. E' nel sacrificio passionale che Gesù rivelerà definitivamente se stesso come Salvatore, secondo l'immagine del Servo Sofferente di Yavhe' che espone deliberatamente se stesso al ludibrio e all'ignominia, smentendo categoricamente tutte le aspettative umane di un Dio vendicativo, dirompente, coercitivo. Nella croce l'amore di Gesù sarà autentico, perché preceduto da procurata umiliazione che a sua volta alimenta l'umiltà. La croce è il luogo dove la piccolezza e la nullità mostrano la loro vera grandezza; ciò che è debole si mostra forte. Al contrario che per i docetisti, la croce è il luogo della grande sofferenza e delle atrocità e non dell'impassibilità distaccata al dolore e proprio il dolore, accentuato e procurato delle vessazioni e dagli insulti, darà vigore all'umiltà e sarà anch'esso espressione dell'amore per tutti noi.
La resurrezione sarà il trionfo dell'amore sulla morte. La croce è invece il luogo in cui l'amore diventa medicina per l'uomo, perché nella sofferenza di Cristo e nel suo sangue veniamo riscattati. Ma questo amore scaturisce dall'umiltà, dalla quale assume anche le sue ragioni. "Sine dolore, no vivitur in amore" dice l'Imitazione di Cristo e Giovanni soggiunge che "Nessuno ha un amore più grande di chi da' la vita per i propri amici (Gv 15, 13).
E' appunto l'umiltà che consente a Gesù di umiliarsi e di soffrire, quindi di amare intensamente.
Nell'esperienza di Gesù vi è sempre il riverbero di quanto afferma la Sapienza nella pagina che oggi ci viene proposta: "tendiamo insidie al giusto". Contro Gesù, che è il Giusto per eccellenza nonché Agnello innocente, si trama da più parti. Ogni volta che proferisce un discorso alla presenza di scribi e farisei, questi si mettono ad escogitare azioni e stratagemmi per vederlo morto; si cerca da parte dei suoi avversari un pretesto per coglierlo in fallo nei suoi discorsi in modo da avere di che accusarlo e si cercano motivi e si lanciano pietre contro colui che "è semplice uomo ma si fa Dio"(Gv 10, 33). E' però l'evento del Golgota quello in cui tali persecuzioni diventano effettive e il Giusto viene insidiato e vituperato senza alcuna possibilità di difesa e subirà le stesse derisioni di cui al suddetto libro della Sapienza: "Scendi dalla croce e ti crederemo".
L'umiltà è quindi la virtù basilare che sollecita in noi tutte le altre.
Ecco perché nell'ottica e nella sequela del Cristo umile è penitente è importante radicarci anche noi nell'umiltà, disponendoci ad essere adulti nel giudicare ma fanciulli quanto a malizia (1Cor 14, 18 - 21), evitando vane autoesaltazioni e ambizioni apicali che non conseguono che soddisfazioni illusorie e caduche. L'ambizione al successo immediato e alle elevate posizioni comporta sempre il tormento interiore di insoddisfazioni, ansie e futili preoccupazioni, perché fin quando una determinata meta di alto livello non è raggiunta vi sarà sempre un vano agitarsi ridicolo. E quando pure la si è raggiunta, altrettante pene e sofferenze ci aspettano per poterla difendere e mantenere. Esercitare il proprio ruolo con amore e dedizione nel posto in cui ci si trova senza vani tentativi di vanagloria comporta invece la serenità del servizio disinteressato che ci delucida la nostra vera utilità. Piegarsi alle cose umili e concedere a se stessi modestia e semplicità di vita equivale ad essere liberi, perché affrancati dalla schiavitù di ambizioni inani e controproducenti.
Lungi dalla preoccupazione di essere "grandi" o altolocati, occorre appunto l'umiltà e la piccolezza che introducono alla carità e al servizio disinteressato, all'apertura incondizionata verso il prossimo in qualsiasi ruolo o dimensione ci si trovi a vivere e ad operare. E quale soddisfazione più grande se non quella di avvertire di essere utili agli altri?
Lo stesso Gesù ci si mostra speculare di questa soddisfazione quando sta in mezzo ai suoi discepoli come colui che serve fino a lavare i piedi ai suoi poco prima di offrire se stesso all'estremo supplizio.
Un sacerdote di veneranda età anni or sono mi diceva che il segreto del successo pastorale sono i bambini: se si entra nel loro cuore, si conquista l'intera famiglia e anche più. I più piccoli infatti sono i più propensi alla confidenza, all'apertura e all'amicizia ma soprattutto sono iconici dell'innocenza e della purezza. Quando si esaltano le loro qualità guadagnando la loro stima, l'attività pastorale è compiuta per metà. Oltre che a partire da loro occorrerebbe però essere anche come loro: semplici umili e disinvolti per gli altri, senza ombra di malizia o di cattiveria.
Umiltà e semplicità del resto ottengono in un modo o nell'altro anche quello che immediatamente non ci aspettiamo: l'esaltazione, la gloria e l'innalzamento a cui altri aspirano per mezzo di vane aspirazioni. "Chi si umilia sarà esaltato"; "Gli ultimi saranno i primi". Ciò non solamente in ragione di una promessa del Signore, ma anche per un percorso che la vita stessa ci riserva. Semplicità e umiltà producono alla fine molto più successo di quanto ci venga interdetto dall'alterigia e dalla presunzione.