Omelia (12-02-2006) |
padre Antonio Rungi |
Se vuoi, puoi guarirmi La Parola di Dio di questa sesta domenica del tempo ordinario ci presenta ancora una volta Gesù alle prese della sofferenza e del dolore umano, nei confronti dei quali si mostra sensibile ed interviene con le sue uniche e straordinarie possibilità per eliminarli. In questa domenica il Vangelo di Marco, infatti, ci presenta la guarigione di un lebbroso. Questo uomo toccato da tale tremenda malattia, che lo escludeva dalla vita di relazione con gli altri, si inginocchia ai piedi di Gesù e confidando nella sua potenza dice: "se vuoi, puoi guarirmi". Gesù, mosso a compassione, lo guarisce subito e senza alcuna esitazione. Guarigione immediata, nella quale non è richiesta la manifestazione esplicita della fede, in quanto è la fede che muove il lebbroso a chiedere il miracolo. Solo un impegno di silenzio chiede Gesù all'ex-lebbroso, quello di non dirlo a nessuno. Invece la gioia della vita che era rinata in lui è talmente irresistibile che non sa conservare per sé il dono ricevuto e lo fa conoscere a tutti. Leggiamo il brano del Vangelo: "In quel tempo, venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi guarirmi!". Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, guarisci!". Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: "Guarda di non dir niente a nessuno, ma va', presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro". Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte". Sullo stesso tema si sviluppa la parola di Dio della prima lettura, tratta dal Libro del Levitico, nella quale ci viene presentata la condizione di estrema miseria ed emarginazione nella quale è collocata la persona toccata dalla lebbra. Egli non ha diritto a nulla, viene considerato un escluso dalla vita sociale, non solo perché affetto da tale male, considerato infettivo, ma perché egli esprime la condizione del peccatore, dell'uomo che si è allontanato da Dio. Stretto nesso, in questo caso, del male fisico con quello morale. Cosa, oggi, in una visione diversa del male fisico, soprattutto alla luce del mistero del Cristo crocifisso, non assolutamente condivisibile. Ecco il testo del Levitico: "Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: "Quando uno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli. Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: Immondo! Immondo! Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento". Il peso dell'umiliazione di quanti erano affetti da simili mali si avverte tutto intero nel testo che ascoltiamo oggi. A molte riflessioni e considerazioni si prestano i due testi che abbiamo ora ascoltato, quello del Vangelo e del Levitico. C'è una lebbra interiore non visibile che è più infettiva e distruttiva di quella esterna. Una lebbra che si diffonde a macchia d'olio e che riguarda sempre più persone che fanno della loro vita una manifestazione di peccato e di perversione, i cui atteggiamenti infettano tutti e sono capaci di convogliare sul male chi si avvicina a loro. Sono gli untori dei nostri giorni che infettano di male morale i luoghi e le istituzioni ove sono e che, rispetto al lebbroso del Vangelo, non avvertono neppure la necessità della guarigione e della conversione. Il peccato, sempre più espressione della vita di quanti sono lontani da Dio, è la lebbra più infettiva di oggi e si diffonde con una tale rapidità tra il genere umano, che è difficile arginarla. E' necessario fare ciò che ha fatto il lebbroso del Vangelo di oggi: inginocchiarsi davanti al Salvatore dell'umanità e chiedere la guarigione della mente e del cuore perversi. Soprattutto di quelle menti diaboliche che pensano e concepiscono il male in ogni angolo della terra e poi lo portano a compimento. Tali lebbrosi morali sono estremamente pericolosi perché possono, come di fatto sta succedendo, prendere piede nella società odierna e seminare odio e vendetta nel nome dello stesso Dio. I fatti di questi giorni ai quali stiamo assistendo, con violenze di ogni genere, ci confermano che il Demonio si è insinuato nella vita di tanti esseri umani, al punto tale che il male passa per il bene ed il bene per il male. A questo sistema di pensiero, infettante come la molteplicità dei virus che attaccano la vita umana, bisogna porre argine per far emergere il miracolo della guarigione che parte dalla compassione e dalla condivisione. Spesso siamo noi stessi più lebbrosi dei lebbrosi fisici e non ce ne accorgiamo, perché sappiamo nascondere talmente bene le nostre malattie dell'animo, che siamo sepolcri imbiancati, cioè belli esternamente, ma gravemente ammalati interiormente. Queste malattie vanno curate con una forte terapia di amore verso Dio e verso i fratelli, perché solo chi mette al centro della propria esistenza Cristo e in Lui riconosce l'unico salvatore può trovare la via della sua guarigione. Si tratta, come ci ricorda l'Apostolo Paolo nel brano della Lettera ai Corinzi di oggi, di imitare Gesù Cristo e di non essere di scandalo a nessuno con il proprio modo di agire: "Fratelli, sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non date motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l'utile mio ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo". Argomenti di grande attualità che ci pongono davanti alle nostre responsabilità individuali e comunitarie, perché ci richiamano alla coerenza con le scelte di vita che ognuno ha fatto in una visione cristiana dell'esistenza. Coerenza che già di per sé è un invito a seguire le orme di Cristo e lasciarsi prendere totalmente da Lui, come avvenne per l'Apostolo delle Genti, quando si convertì al cristianesimo. |