Omelia (29-09-2024) |
don Andrea Varliero |
Decidere, voce del verbo Vivere «L'Italia è una repubblica democratica fondata sull'invidia, e i mediocri non perdonano», scrive un autore. Invidia e gelosia, due bestie nere accovacciate alla porta delle nostre vite: ci hanno fatto del gran male; avvelenato i nostri giorni, distrutto rapporti umani, creato una coltre di silenzio ostile, ci hanno abbruttiti. L'invidia come rabbia per quello che l'altro possiede e a me manca, come sale che brucia sulla ferita della poca autostima; la gelosia come paura di perdere ciò che mi tengo stretto, persone o cose, come sale che brucia sulla ferita dell'insicurezza. Invidia e gelosia anche nella vita spirituale: l'invidia che uno abbia potuto fare del bene, che uno possa essere felice di quello che sta donando, che abbia potuto guarire e compiere miracoli, l'incapacità a gioire del bene vissuto e compiuto da altri. «Non era dei nostri. Noi glielo abbiamo impedito», dicono gli apostoli: è la prima volta che nel Vangelo di Marco si parla di un «noi». Sono diventati un «noialtri», miseri tutti nascosti dietro la stessa maglia. Non è dei nostri: e all'orizzonte mi immagino campanili e corporazioni, gruppi e fazioni, squadre e partiti, chiusi dentro l'orticello del «noialtri». Manca l'aria, non si respira. «Non c'è nessuno che sia contro di noi», ci sussurra. Senza le lenti dell'invidia e della gelosia gli altri non sono nemici: anzi, sono amici che agiscono meglio di me, senza saperlo aiutano il Cielo ad abitare la terra. Cristiani anonimi, uomini e donne di altre fedi, lontani e delusi, eppure vicini nei gesti e negli atteggiamenti. Ci spinge a uscire fuori dal perimetro sicuro e chiuso, a guardare oltre la siepe: c'è un universo da ascoltare, c'è un mondo di bene nel suo Nome che ci precede. Se anche Gesù Cristo diventa «mio», se anche io mi metto a giocare tra «noialtri» e «voialtri», allora è perduto il dono. «Se la tua mano, se il tuo piede, se il tuo occhio»: dovessimo prendere alla lettera tutto questo, saremmo di stanza alla casa del mutilato. Immagini forti, perché la posta in gioco è alta. Dove stiamo mettendo mano? La mano rappresenta tutto ciò che sta in mio potere, tutto ciò che mi fa avere autorità. Tutti abbiamo «in mano» qualcosa: da un piccolo servizio alla gestione della famiglia, da noi stessi alle persone accanto; a tutti è affidato un fazzoletto di potere da gestire. Se questo potere rende schiavo me e gli altri, se non libera, né fa fiorire, allora è necessaria la potatura, come per una pianta. I miei piedi, i mille piedi in mille scarpe, a volte senza direzione, in infiniti cammini che non conducono da nessuna parte. Allora, come la pianta, è necessaria la potatura: una direzione e un orientamento alla strada della vita. Non sempre avere cento occhi ci fa bene: il mio occhio, i mille occhi, sono la prospettiva con cui giudico e guardo il mondo. L'occhio è il cuore: che cosa mi sta a cuore? Cosa mi muove lo sguardo? L'amore conosce quel piede che è la speranza, quella mano che è la carità, l'agire con amore, mentre l'egoismo conosce infinite altre strade, l'imbroglio, infinite altre mani per possedere. Togliere tutti i novantanove occhi che ci fanno vedere solo il nostro interesse in tutte le persone, in tutte le cose, che rovinano tutto, oppure vedere nell'altro il fratello, il figlio di Dio, il mio simile, e avere lo stesso sguardo di Dio per non ammazzarci, per essere figli e fratelli. È bello scegliere nella propria vita, è bello prendere delle decisioni: soltanto il decidere impegna il desiderio e lo fa crescere. Decidere è un tagliare fecondo che lo libera dall'onnipotenza, dalla paura, dalla dispersione. Decidere è potare il desiderio e permettere alla sua linfa di concentrarsi nelle gemme migliori, per dar frutto. Una vigna non potata, dopo aver prodotto un raccolto ricchissimo, diventa sterile. Così anche la nostra vita si spegne se non è incanalata dagli argini della scelta. Potare, decidere, per essere liberi. Scandalo sui piccoli: non necessariamente bambini, ma piccoli nella fede, fragili nelle loro scelte di vita, a cui basta una folata di fango e si allontanano. Guai a noi, che li abbiamo fatti inciampare e cadere, che li abbiamo allontanati: tremo all'idea di aver allontanato persone da Dio per la mia controtestimonianza; è il dolore più forte, è il perdono necessario più urgente. Vangelo di vertigine oggi, vangelo impossibile, vangelo che tocca nervi scoperti e pone mille e mille domande ad un mondo e ad una Chiesa sempre più serrati, sempre più barriera chiusa. Un bicchier d'acqua, basta alle volte un bicchier d'acqua, dato nel suo Nome. Non sempre basta amare, occorre anche farlo con stile: nel suo Nome. |