Omelia (04-10-2024) |
Missionari della Via |
Commento su Matteo 11,25-30 Questo Vangelo, nel giorno del poverello di Assisi, risplende di bellezza. La piccolezza, infatti, è una virtù dei santi, che Francesco ha fatto sua al punto da sentirsi "minore". La piccolezza ci espone a un dono: essere coccolati da un Padre buono che viene a consolarci. Sì, Colui che predilige i piccoli, gli oppressi, gli scartati è colui che è ristoro per colo che, nella piccolezza in tutte le sue forme, si affidano a Lui. Questa certezza ci pone al riparo dalla tentazione del lamento, soprattutto quando non ci sentiamo visti. La piccolezza, infatti, ci espone all'invisibilità. Pensiamo a Zaccheo che era piccolo di statura e per vedere Gesù dovette arrampicarsi su un albero. Noi pensiamo spesso che essere piccoli, invisibili, ci rende lontani da ogni consolazione. Dio dice il contrario: "io vi vedo!". Non coltiviamo perciò il lamento, brutto vizio che non ci fa gioire della vita e non ci fa avere quella leggerezza che anche nell'oppressione e nei problemi ci fa andare avanti. Il lamento è il vizio di chi vuole sempre di più; tradisce una grande avidità, un'incontentabilità che non fa godere della bellezza delle cose. Anche nelle famiglie, nelle chiese e nelle comunità religiose il lamento è un veleno mortale, tant'è che san Paolo ai Filippesi tiene a sottolineare l'importanza di non guastare quello che facciamo con il lamento: «Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche, perché siate irreprensibili e semplici" (Fil 2,14). Pensiamo quanto è brutto condividere qualche intuizione o l'intenzione di fare qualcosa di bello con qualcuno che subito si lamenta o critica, guasta tutto! Soprattutto il lamento non ci fa rendere grazie a Dio della sua provvidenza. Dio, a cui non sono sconosciute le nostre stanchezze, ci dice: "Invece di lamentarti, vieni a me!". Ma chi è colui che si lamenta? Di solito persone che credono di meritare tanto, che credono di comportarsi bene perciò non possono che ricevere. Antidoto contro ogni lamento è l'umiltà, il sapere di non meritare nulla, perché tutto è dono. C'era un bambino di nome Giorgio al quale il papà aveva donato 4 gettoni per fare un giro sulle giostre. La sua famiglia era molto umile, perciò per il padre era un grade sacrificio spendere quei soldini per un gioco. Eppure, per far contento Giorgio gli comprò 4 gettoni. L'amichetto di Giorgio, un certo Riccardo, invece aveva genitori molto ricchi, perciò il papà gli comprò 10 gettoni per le giostre. Entrambi andarono a Luna park. Giorgio teneva sempre la mano al padre, era emozionato e gli chiese di fare il giro con lui sulla giostra, era meglio due giri con il suo papà, che quattro da solo. Riccardino invece correva, era esagitato, fece almeno 10 giri, e il papà cercava di stargli dietro. Finiti i gettoni, cominciò a fare capricci perché ne voleva altri, il padre però aveva premura di tornare a casa, quindi rimproverò Riccardo che si mise a piangere disperato. Alla fine della giornata Giorgio ritornò con suo papà a casa, era emozionato e contento e abbracciò sua madre di vero cuore. Riccardo invece, non voleva salire in macchina per tornare a casa, poi piangendo fece il tragitto di ritorno. Arrivato a casa (sempre piangendo) disse alla madre che la giornata era stata orribile. Eppure, Giorgio aveva fatto 2 giri alla giostra e Riccardo 10! Il motivo per cui Giorgio era contento era perché credeva di non meritare nessun biglietto, sapeva che era una grazia, cioè era un dono quello che aveva ricevuto. Riccardo invece credeva di meritare sempre tutto, perciò si lamentava sempre e non si godeva ciò che aveva. Impariamo l'umiltà di sapere che tutto è grazia, misuriamoci davanti a Dio e diciamo: "davanti al tuo amore, cosa posso pretendere?". Perciò, percependo la nostra mancanza, facciamoci consolare da Dio, impareremo a vivere con leggerezza, senza lamenti continui. San Francesco d'Assisi «Messosi dunque in cammino, giunse fino a Spoleto e qui cominciò a non sentirsi bene. Tuttavia, preoccupato del suo viaggio, mentre riposava, nel dormiveglia intese una voce interrogarlo dove fosse diretto. Francesco gli espose il suo ambizioso progetto. E quello: «Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?» Rispose: «Il padrone». Quello riprese: «Perché dunque abbandoni il padrone per seguire il servo, e il principe per il suddito?». Allora Francesco interrogò: «Signore, che vuoi ch'io faccia?» Concluse la voce: «Ritorna nella tua città e là ti sarà detto cosa devi fare; poiché la visione che ti è apparsa devi interpretarla in tutt'altro senso». Destatosi, egli si mise a riflettere attentamente su questa rivelazione. Mentre il sogno precedente, tutto proteso com'egli era verso il successo, lo aveva mandato quasi fuori di sé per la felicità, questa nuova visione lo obbligò a raccogliersi dentro di sé. Attonito, pensava e ripensava così intensamente al messaggio ricevuto, che quella notte non riuscì più a chiuder occhio. Spuntato il mattino, in gran fretta dirottò il cavallo verso Assisi, lieto ed esultante. E aspettava che Dio, del quale aveva udito la voce, gli rivelasse la sua volontà, mostrandogli la via della salvezza. Ormai il suo cuore era cambiato. Non gl'importava più della spedizione in Puglia: solo bramava di conformarsi al volere divino» (dalla Leggenda dei tre compagni - Fonti Francescane 1401). |